L'ospedale generale regionale di Nyiragongo, vicino a Goma, dove la Ong Coopi è impegnata con un progetto nel settore della nutrizione.
Sulle pareti del suo ufficio nella sede di Coopi, a Milano, campeggiano una grande cartina geografica del mondo, le sculture africane, la foto di padre Vincenzo Barbieri, il gesuita fondatore della Ong, che il prossimo anno compie 60 anni di vita. Claudio Ceravolo, 76enne medico chirurgo milanese, ha operato a lungo in Africa. Volontario di Coopi da oltre quarant'anni, nel 1986 la Cooperazione italiana lo designò primo direttore dell'Ospedale generale di Goma, capoluogo del Nord Kivu, in Repubblica Democratica del Congo, dove rimase fino alla fine del 1989. Da circa una settimana si parla con una certa preoccupazione di una nuova, possibile, non ancora precisata minaccia sanitaria localizzata in una zona remota della Repubblica Democratica del Congo. Una malattia ancora misteriosa, i cui sintomi generali sono molti simili a quelli di un virus influenzale, individuata nella provincia di Kwango, Sud-ovest del Congo, al confine con l'Angola, a più di 700 km dalla capitale Kinshasa. Una regione impervia, estremamente povera, con strutture sanitarie molto precarie, isolata e difficilmente raggiungibile soprattutto ora, durante la stagione delle piogge. I contagi rilevati dal 24 ottobre al 5 dicembre sono circa 400. Ma va sottolineato che la maggior parte dei decessi ha riguardato giovani e bambini, in particolar modo quelli affetti da grave malnutrizione. Non c'è ancora motivo di allarmarsi dunque, rassicurano gli esperti, che invitano comunque a tenere sotto controllo l'evolversi della situazione.
«L'esperienza della pandemia del Covid-19 ci ha traumatizzato tutti e ci condiziona fortemente. Oggi, dal mio punto di vista, la vera epidemia di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa, che ci paralizza», osserva Ceravolo, che per tanti anni ha lavorato presso l'Ospedale di Crema e, dopo la pensione, ha deciso di tornare in corsia, nel pronto soccorso, durante la pandemia del Covid per dare una mano nell'emergenza, e ha contratto il virus. Il medico ripercorre la sua lunga esperienza in Africa. «Sono partito per il Congo nel 1981 come volontario di Coopi. Seguivo un progetto sanitario a Walungu nel Sud Kivu portato avanti con i missionari saveriani. Sono rimasto lì per due anni, fino al 1983. Poi nel 1984 sono andato in Camerun, in seguito in Ciad con la Cooperazione italiana, che infine mi ha richiamato in Congo, a Goma, dove si stava costruendo l'Ospedale generale grazie al finanziamento di quello che allora si chiamava Fondo europeo per lo sviluppo e che aveva delegato la realizzazione del progetto alla Cooperazione italiana».
Riguardo alla notizia della nuova malattia ancora sconosciuta, il medico osserva: «Il Congo è pieno di virus e malattie, che non sono nuovi e sono sempre esistiti. Quando io vivevo là, erano gli anni in cui era scoppiato il virus Hiv. Allora correva la voce che si trattasse di una malattia proveniente dalle scimmie. Già alla fine degli anni '70 ci sono stati i primi casi di ebola, epidemia partita sempre dal Congo. Oggi si parla molto dell'epidemia dell'Mpox, il vaiolo delle scimmie: questa malattia girava già ai miei tempi ma allora non faceva notizia». Molti virus, spiega il presidente di Coopi, partono spesso da specie animali e sono legati alla grande prossimità esistente in certi contesti fra uomo e animale, che ad un certo punto provoca il passaggio dall'animale all'essere umano. «Questo trasferimento, prima più limitato, oggi è diventato più frequente anche a causa dei maggiori movimenti e spostamenti delle persone».
Dell'Ospedale di Goma che lui ha contribuito a far nascere e a sviluppare, Ceravolo racconta: «Si tratta di un ospedale statale, nato da un accordo fra Governo di Kinshasa e quello italiano. Tutte le mattine c'era l'alzabandiera con l'esecuzione dell'inno nazionale di quello che allora si chiamava Zaire (il nome è stato cambiato in Repubblica Democratica del Congo nel 1997, dopo la caduta del dittatore Mobutu, ndr). Io, oltre che essere il direttore, mi occupavo anche della chirurgia. In quegli anni abbiamo fatto molti passi avanti, ad esempio abbiamo portato nell'ospedale l'endoscopia digestiva. Dall'Italia arrivavano spesso medici per formare il personale locale. Le nostre priorità erano: la trasferibilità delle conoscenze e competenze e la sostenibilità economica dell'ospedale, affinché raggiungesse la piena capacità di gestione e la piena autonomia, in un Paese dove - allora come oggi - non c'era alcuna forma di mutualità nella sanità pubblica (a quel tempo era a carico dei pazienti anche la maternità, che oggi è gratuita)».
Al fianco di Ceravolo, a Goma, c'era anche la sua famiglia: la moglie Maddalena, che si occupava dell'amministrazione dell'ospedale, la figlia Matilde e il figlio Paolo, allora bambini. In seguito, il medico è tornato in Congo molte altre volte, in missioni più brevi come volontario per Coopi, a partire dal 1994, per gestire la grave crisi umanitaria nell'estadel Congo legata al genocidio e al conflitto civile nel confinante Ruanda. «Il 6 aprile l'aereo sul quale viaggiava il presidente ruandese Juvénal Habyarimana è stato abbattuto, io sono arrivato a Goma ai primi di maggio. Coopi aveva una lunga storia nell'est del Paese e io sono arrivato per provare a fare qualcosa di concreto, dare una mano, anche con l'aiuto economico di Caritas ambrosiana. Il conflitto del Ruanda ha provocato un fiume immane di profughi verso il Congo. Tantissimi erano i minori non accompagnati che varcavano il confine. Tanti di loro non erano orfani, ma erano stati separati dalle famiglie». Ceravolo ricorda il grande impegno con Coopi per dare accoglienza ai bambini profughi dal Ruanda». Allora è partita una grande campagna per la riunificazione dei minori alle loro famiglie. Un lavoro difficile, enorme, una sfida portata avanti con pazienza e determinazione.
«Ero a Goma anche quando nel 1996 è cominciata la guerra del Congo che ha portato alla caduta di Mobutu e alla presa del potere da parte di Joeph Kabila, nel 1997. In quei giorni ero tornato in sala operatoria all'Ospedale generale di Goma che avevo diretto anni prima. Ma dopo un settimana sono stato costretto ad evacuare». Ricorda con piacere il rapporto di stima e di amicizia con il vescovo di Goma, oggi emerito, monsignor Faustin Ngabu, che ora ha 89 anni, vive sempre a Goma e ha da poco celebrato i suoi 50 anni di episcopato. Per Ceravolo l'ultima volta in Congo è stata nel 2010, dopo la morte di padre Vincenzo Barbieri che a quel Paese era molto legato. L'Africa è sempre lì, nei suoi pensieri, nel suo cuore, scolpita in modo profondo, indelebile. «Mi piacerebbe rivedere il Congo». Ceravolo sorride: «Chissà, magari un giorno ci tornerò».