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La favola dei bambini del bosco non era una favola, perché anche senza lupi ed orchi ci sono fate e gnomi solo apparentemente mansueti, che col fanatismo e la pretesa di una purezza impossibile possono condizionare e infettare i più indifesi.
A parer mio, e non solo perché soffro il freddo e la mancanza di igiene, i genitori della favola sono sconsiderati, così caparbi nella decisione irrevocabile di isolarsi dal mondo per preservarsi nell’innocenza della natura. Che non è affatto innocente, come sappiamo.
È normale che intervengano i servizi sociali, quando si tratta di minori che vivono in condizioni precarie, senza bagno in casa, senza riscaldamento, senza vaccinazioni obbligatorie, salvati per caso e per miracolo da un’intossicazione alimentare.
Però, se questa vicenda paradossale ha suscitato tanta emozione e indignazione, se soprattutto i giovani si sono spesi per difendere la famiglia e il suo privato, bisogna forse riflettere su qualche errore di metodo. Perché si può e si deve intervenire, ma il punto è come: si tratta di tre bambini piccoli, una mamma e un papà. Dividerli è un provvedimento forte e raro, pensavamo possibile in casi di manifesta violenza, di pericolo per l’incolumità dei piccoli, e così non appare.
Leggendo l’ordinanza dei giudici, che riporta le note dei servizi sociali che hanno studiato il caso, si trovano motivazioni che appaiono non così oggettive: i bambini potrebbero manifestare, in futuro, «difficoltà di apprendimento cooperativo», «problemi di regolazione emotiva», «rischio di bassa autostima», «difficoltà nella gestione del conflitto». Si tratta di ipotesi, che potrebbero valere per tante famiglie.
Siamo sopraffatti nella cronaca da troppi giovani criminali, che a 12 anni girano col coltello in tasca, fanno le sentinelle per lo spaccio, rubano e picchiano in branco, vivono nella spazzatura e nel fango, e ci paiono situazioni di disagio familiare più gravi. Ma il pensiero va anche alla sensazione di un’intromissione crescente dello Stato nella vita personale, familiare, nelle relazioni, nella libertà educativa che ci sta tanto a cuore. Perché sono le famiglie a formare lo Stato, non è lo Stato che forma le famiglie.
Credo che queste considerazioni alimentino l’interesse e le discussioni di tanti: peccato che anche questa vicenda sia stata contaminata dalla strumentalizzazione politica, da una parte e dall’altra; che si sia trasformata in una campagna mediatica, con tifo da stadio volgare e violento che certo non mira al bene dei bambini coinvolti; con una delegittimazione di tanti professionisti che operano nel sociale, con competenza e passione. Bisogna difendere i diritti, ma anche i doveri; le scelte ideologiche non si fanno mai sulla pelle dei figli, perché i figli non sono dello Stato, ma neppure dei genitori. I figli sono un dono, e il nostro compito è custodirli, accompagnarli, sostenerli perché compiano un giorno le proprie scelte: questa è libertà.
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