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martedì 18 marzo 2025
 
POLEMICHE
 

Chi attacca Sanremo dovrebbe sperare che si faccia

29/01/2021  Un tweet del ministro della cultura Franceschini ha messo in dubbio lo svolgimento del prossimo Festival, equiparando il teatro Ariston agli altri teatri chiusi ormai da mesi. Una posizione che ha suscitato il plauso di molti artisti, che non sanno quando potranno riprendere la loro attività. Ma la realtà è più complessa, ecco perché

Il 29 gennaio 1951 Nunzio Filogamo, collegato in diretta radiofonica, dichiarava aperto dal Salone delle Feste del casino municipale di Sanremo il primo Festival della canzone italiana. Settant’anni dopo, lo spettacolo più popolare in Italia è al centro dell’ennesima stucchevole diatriba tra cultura “alta” e cultura “bassa”. A innescare la miccia è stato un tweet del ministro della Cultura Dario Franceschini: “Il Teatro Ariston di Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito ieri il ministro Roberto Speranza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile”.

Le parole del ministro hanno ricevuto il plauso di quanti in questi mesi, nel mondo del teatro, del cinema e della musica, lamentando la loro perdurante inattività, hanno confrontato questa situazione con il Festival. Due voci su tutte. Moni Ovadia ha scritto: «Se non si capisce quale è il valore prioritario della cultura e si favoriscono le kermesse mediatiche vuol dire che questo Paese sarà sempre un Paese miserabile, non crescerà mai! Se Sanremo diventa la priorità del Paese, si vede che il Paese è perduto». Il regista Davide Livermore sulla Stampa ha rincarato la dose: «Davanti a Sanremo con gli spettatori dal vivo il teatro italiano tornerà militante». E ha aggiunto: «Noi apriremo i teatri e sul palco ci sarà il nostro festival: primo concorrente Shakespeare».


Riassumendo: siccome i teatri e i cinema restano chiusi, Sanremo, che si svolge al Teatro Ariston, non s’ha da fare. Ma questa posizione non considera un dato: l’Ariston si è di fatto già trasformato in uno studio televisivo: sono state eliminate le poltrone, tolte 18 file, è stata chiusa la galleria. Il tutto per poter ospitare non un pubblico pagante, ma 300 figuranti, persone cioè pagate e strettamente controllate per tutta la durata dell’evento. Quindi quest’anno il Festival di Sanremo si configurerebbe come uno show strettamente televisivo. Leggiamo allora cosa c’è scritto nel sito del Governo in merito ad alcune domande/risposte sull’ultimo Dpcm: «Alle trasmissioni televisive non si applica il divieto previsto per gli spettacoli perché la presenza di pubblico in studio rappresenta soltanto un elemento coreografico o comunque strettamente funzionale alla trasmissione». Per restare in ambito musicale, Sanremo sarà quindi del tutto simile all’ultima edizione di X Factor, sulla quale nessuno ha avuto da ridire.

Questione chiusa? Non proprio, perché non è così semplice definire Sanremo solo un evento televisivo, dato che gran parte del suo fascino che resiste da 70 anni sta in ciò che avviene fuori dall’Ariston, quando per cinque giorni la cittadina ligure si trasforma in un rutilante paese dei balocchi, dove a ogni angolo puoi incontrare sosia di Celentano, puoi ascoltare concerti di artisti in cerca di gloria, correre da un hotel all’altro nella speranza di incrociare un cantante in gara e mangiare nei ristoranti (spesso male) fino a notte fonda. E’ proprio su questi aspetti si stanno concentrando gli esperti del Comitato tecnico scientifico che dovrebbero presto prendere una decisione, forse già domani. I dubbi riguardano i rischi di assembramenti, in particolare fuori dal Teatro Ariston e dal Palafiori, e l’andamento della pandemia. Le date scelte per lo svolgimento del Festival di quest’anno sono dal 2 al 6 marzo. Se la Liguria mantenesse il trend attuale, sarebbe allora molto presumibilmente in zona gialla e quindi, con tutte le cautele, lo show potrebbe svolgersi. Ma se invece fosse in zona arancione o addirittura rossa, non sarebbe possibile alcuna apertura. La soluzione più semplice sarebbe spostarlo più avanti, ad aprile o a maggio quando anche la campagna vaccinale sarà, si spera, in una fase molto più avanzata, ma Amadeus ha già fatto sapere che, di fronte all’incertezza, preferisce rimandare direttamente al 2022.


Ma torniamo alla querelle “perché Sanremo sì e gli altri spettacoli no?”.  Nel periodo in cui i teatri e i cinema hanno riaperto, tutti sono stati concordi ne dire che le procedure di sicurezza sono state tali da renderli luoghi sicuri. Eppure sono stati richiusi, un po’ per limitare i movimenti in generale e un po’ per il pericolo di assembramenti all’ingresso, prima e dopo gli spettacoli. Ma se per il Teatro Ariston sarà possibile garantire lo svolgimento di uno show per cinque giorni, pur solo con 300 figuranti, perché non si potrebbe fare altrettanto, magari con un pubblico ancora più ridotto, in un altro teatro? Lo ha già fatto lo scorso gennaio il Parenti di Milano, quando un sabato sera, nella sala grande erano presenti 100 spettatori su invito, tutti distanziati e con la mascherina e prima sottoposti a tampone rapido (pagato ovviamente dal teatro), esattamente come avviene in uno studio televisivo. Un evento simbolico, ma importante perché come ha sottolineato la direttrice Andrée Ruth Shammah «la chiusura dei teatri rischia di far collegare i teatri a luoghi non sicuri. Alcuni direttori temono che, dopo la riapertura, la gente avrà paura di tornarvi. Io invece penso che le sale saranno piene». E ancora: «Non dovrebbero darci soldi per tenerci chiusi, ma per acquistare le macchine sanificatrici dell'aria; per farci riaprire».


Quindi, la posizione “siccome i cinema e i teatri sono chiusi, non si deve fare nemmeno Sanremo”, andrebbe ribaltata: gli artisti che si scagliano contro il Festival dovrebbero sperare che si svolga e che si svolga senza problemi. Perché vorrà dire che i protocolli di sicurezza avranno funzionato e che quei protocolli, opportunamente adattati, potrebbero servire anche per far riaprire il prima possibile cinema e teatri.

Sui 70 anni di Sanremo parla anche Mogol in una densa intervista concessa a padre Antonio Spadaro che si può leggere qui: https://www.laciviltacattolica.it/articolo/a-colloquio-con-mogol/

 

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