Per tutti noi da quel giorno Rosaria Costa Schifani è la sua voce straziata. Le sue parole dal pulpito del duomo di Palermo hanno fatto il giro del mondo: «Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio”. Non l’aveva scelto, ma è stata la voce della presa di coscienza dell’Italia intera.
Da quel momento, da quella voce, che chiedeva «giustizia, adesso» e ai mafiosi «il coraggio di cambiare» e insieme diceva come a sé stessa, «Ma loro non cambiano», l’Italia intera non ha più potuto voltarsi di là, non vedere, illudersi che i morti per strada fossero un affare lontano, che la mafia fosse un problema della Sicilia.
Con il dolore disperato di quella giovanissima madre di 22 anni rimasta sola con un bambino di quattro mesi da crescere, il 25 maggio 1992, il problema ha fatto irruzione senza bussare, e per sempre, nelle case di un Paese intero attraverso la Tv accesa sui funerali di Stato di Stato delle vittime della strage di Capaci: i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta di Falcone: Rocco Dicillo, Vincenzo Montinaro e Vito Schifani. Vito era il marito di Rosaria, il papà di Emanuele.
Il volto di Rosaria, scavato, pallidissimo, i suoi riccioli neri sono indelebili nella memoria collettiva. Rosaria, che sembrava di porcellana, ma ha dimostrato una grande forza, testimoniando senza mai cavalcare la ribalta, è andata avanti: ha scelto di lasciare la Sicilia, di vivere altrove, di rimettere insieme la sua vita andata a pezzettini lungo l’autostrada tra Palermo e Punta Raisi, di recidere anche fisicamente il legame con quella che quel giorno davanti a tutti chiamò città di sangue.
Emanuele è cresciuto al Nord, è diventato un ufficiale della Guardia di Finanza, ha scelto di rappresentare lo stesso Stato per cui è morto il padre che non ha fatto in tempo a ricordare, ma di cui ha abbracciato i valori anche grazie a un secondo papà che lo ha cresciuto con amore e rispetto.
Non arrendersi a quel «Loro non cambiano», è stata la rivincita di Rosaria, il suo modo di dare un senso alla morte assurda di Vito Schifani, che aveva una vita davanti e non ha potuto viverla con lei accanto a lei e a Emanuele.
Il 18 febbraio 2020 il nome di Rosaria Costa Schifani torna in cronaca, di nuovo suo malgrado, ed è un’altra ferita tragica. Il fratello Giuseppe Costa è stato arrestato con l’accusa di aver commesso estorsioni per conto di un clan. Si viene a sapere che si sarebbe guadagnato “credibilità” disconoscendo da subito quelle parole pubbliche di Rosaria che chiedeva giustizia. I rapporti erano da tempo interrotti, Rosaria ha scelto da sola la sua strada di libertà.
Al quotidiano La Repubblica che l’ha raggiunta dopo la notizia dell’arresto si è detta «devastata», ma decisa ad andare avanti per la sua strada a testa alta: «Mi dissocio da tutti, da mio fratello e da questi mafiosi che avvelenano il mondo. Mi telefonano tanti adesso, dicendo che mi sono vicini. Ma non sono vicina io a quest'uomo che il destino mi ha assegnato come una croce, adesso sono pronta a ripudiarlo».
Il 2 febbraio 2024 Giuseppe Costa è stato condannato a 12 anni per associazione mafiosa in primo grado dal Tribunale di Palermo.