Se l’editoriale di don Antonio Sciortino, direttore di famiglia Cristiana, diffuso sul sito della rivista con il titolo “Il vergognoso silenzio dei politici cattolici”, ha avuto parecchia eco sui quotidiani di stamattina, è perché vi si tocca, sia pure indirettamente, un argomento insolito sulla stampa cattolica italiana di questo ventennio di storia patria, caratterizzato dalla presenza al potere del cosiddetto berlusconismo: la divisione che la discesa in campo del Cavaliere ha provocato nel mondo cattolico italiano. S’intenda bene che cosa voglio dire con questo: i cattolici italiani sono sempre stati divisi in politica, dal Risorgimento in poi. Lo sapeva benissimo don Sturzo, mentre fondava il Partito popolare: c’erano i progressisti e i conservatori, come nella stessa gerarchia ecclesiastica c’erano i modernisti e gli antimodernisti. Ma c’erano delle ragioni storiche obiettive che giustificavano il fenomeno. Adesso, e veniamo allo scritto di don Sciortino, c’è qualcosa di molto diverso: c’è una contrapposizione che non si fonda su nessun elemento ideologico, e tantomeno teologico-religioso, ma su un uomo, trasformato in un Idolo.
Il direttore di Famiglia Cristiana critica il “silenzio” dei cattolici importanti nel Popolo della Libertà (“dove sono i vari Lupi, Mauro, Gelmini, Formigoni?”) sulla critica espressa da Fabrizio Cicchitto alle parole pronunciate da Papa Francesco a difesa degli immigrati da altri continenti durante la sua visita a Lampedusa; ma quel silenzio ha un’origine: Cicchitto fa parte del loro stesso partito, che oggi è al governo con il Pd nelle “larghe intese”, ma non deve essere diviso al proprio interno, nemmeno se c’è qualcuno che attacca il Papa. E perché? Perché l’unità intorno all’Idolo non deve infrangersi, specialmente in un momento come questo, in cui Silvio Berlusconi è al centro dell’attenzione non solo dell’Italia ma di tutto il mondo per la sua situazione giudiziaria. Non è fra l’altro del tutto inutile ricordare come Fabrizio Cicchitto sia vissuto per qualche tempo, intorno al 1980, a contatto con la loggia massonica P2 di Licio Gelli, che aveva fra i suoi iscritti anche il Cavaliere (appunto). Niente del genere importa ai suoi fans, anche quelli cattolici e ai vertici delle istituzioni; che del resto, se ricordiamo bene, non ebbero nulla da dire pubblicamente, nemmeno quando, mediante un documento falso uscito dalla stampa berlusconiana, Dino Boffo fu costretto a dimettersi da direttore di “Avvenire”: per quale motivo? Perché aveva ospitato sul suo quotidiano la lettera di un sacerdote critico verso Berlusconi. L’Idolo non si tocca.
Ieri sera, il Tg3 ha mostrato una lunga intervista della Berlinguer a Maurizio Lupi, in cui il ministro dei Trasporti ha usato almeno dieci volte l’espressione “democrazia a rischio” per la decisione della Corte di cassazione di fissare al 30 luglio l’udienza a proposito della sentenza della Corte d’Appello di Milano di condanna dell’ex premier per il caso Mediaset. Sia consentito far osservare all’on.Lupi che in questa circostanza la democrazia non c’entra nulla. Anzi, per meglio dire, proprio la democrazia è alla radice della decisione della Corte di Cassazione, perché quei giudici (come tutti i magistrati, s’intende) hanno il dovere di osservare le leggi, che sono, appunto, il frutto del Parlamento, massima figura istituzionale della democrazia. Il primo ministro, chiunque sia, è un cittadino come tutti gli altri, di fronte alla legge. Non sarebbe male se qualcuno, dalle parti di Berlusconi, ogni tanto se lo ricordasse. Basta pensare a come sarebbe assurdo e inaccettabile che il Pd e gli altri partiti rappresentati in Parlamento si opponessero con manifestazioni nelle piazze o nelle Camere (spinte fino agli spogliarelli grilleschi), all’eventuale assoluzione di Berlusconi dai reati per i quali è stato condannato nei primi due gradi di giudizio. In quel caso scriverei le stesse cose che scrivo adesso, senza nessuno scrupolo e soprattutto nessun silenzio.