l rapporto tra vita familiare e politiche pubbliche non è mai stato particolarmente sereno nel nostro Paese, anche se ci limitiamo alla storia dell’Italia repubblicana. Eppure la nostra Costituzione poneva una serie di punti fermi, con ben poche ambiguità: l’articolo 29 riconosceva la famiglia come “società naturale”, l’art. 30 elencava i doveri dei genitori verso i figli, l’art. 31 affidava allo Stato il compito di sostenere la formazione delle nuove famiglie, e una particolare attenzione alle famiglie numerose, e anche in altre parti l’importanza della famiglia veniva ribadita, ad esempio nell’art. 36, dove la retribuzione del lavoratore veniva collegata alla prestazione lavorativa, ma doveva anche essere «sufficiente ad assicurare a sé (al lavoratore) e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Ai Padri costituenti era quindi chiaro che bisognava ripartire anche dalla famiglia per ricostruire il Paese e la sua democrazia, dopo un lungo periodo di dittatura e sulle macerie di una guerra interminabile e fratricida. E anche il boom economico degli anni Sessanta vide le famiglie italiane protagoniste: i risparmi, gli stili di acquisto, la cultura del lavoro, la microimprenditorialità diffusa di tante piccole imprese familiari testimoniavano che la famiglia era una risorsa insostituibile per lo sviluppo dell’intero sistema Paese.
E in questa Italia che cresceva, in queste famiglie che confidavano nelle proprie risorse, crescevano anche le nuove generazioni, perché per mettere al mondo un figlio serviva – allora come oggi – speranza nel futuro e convinzione nelle proprie capacità di autorealizzazione. Così, nel 1964 nacquero 1.064.000 bambini – e nel 2022 ne sono nati appena 393.000! In effetti, oggi fare famiglia sembra sempre di più una mission impossibile, in una società ogni giorno più incerta, con lavori sempre più precari, con ricorrenti crisi globali davanti a cui il singolo individuo si sente impotente e privo di controllo sul proprio destino.
Può contare ancora su reti familiari solidali, anche se sempre più sfilacciate e fragili, per separazioni, spostamenti geografici e riduzione del numero di familiari, ma non si sente affatto sostenuta dallo Stato e dal contesto esterno. Lo confermano anche le risposte dei giovani genitori dell’indagine Eumetra (2.128 interviste, autunno 2023, a un campione nazionale di famiglie con bambini fino a 11 anni o in attesa di un bambino), secondo cui l’aiuto più importante nei primi anni di vita del figlio è quello ricevuto da nonni e parenti (41,6%), mentre i sostegni economici dello Stato arrivano al 24,6%, seguiti dalla flessibilità sul lavoro (20,6%) e dalla presenza di servizi di cura per la prima infanzia (13,2%, soprattutto l’asilo nido).
E anche l’assegno unico universale, introdotto nel 2021, appare tuttora insufficiente: solo il 5,5% delle giovani famiglie intervistate sostiene che la cifra sia stata molto (o moltissimo) adeguata alle proprie necessità, mentre due terzi delle famiglie si dichiarano insoddisfatte: il 41,6% la definiscono “poco” adeguata, e il 25,9% “per niente” adeguata. È ancora lunga la strada per costruire una politica “a misura di famiglia”, o meglio, come ricorda il titolo del nuovo Cisf Family Report 2023 (in libreria in questi giorni) per avere “Politiche al servizio della famiglia”. Che vuole dire che l’intervento dello Stato deve finalmente sostenere le famiglie nel loro compito primario: generare e mantenere relazioni di fiducia, solidarietà e cura reciproca tra i propri membri, nella coppia, tra genitori e figli, anche quando sono i genitori a diventare anziani. Famiglie così fioriscono, e insieme costruiscono anche un Paese migliore.