Parlando con un gruppo di giovani a proposito della vocazione religiosa, mi ha molto colpito la resistenza che alcuni di loro mostravano circa l’obbedienza, nel senso che una delle difficoltà più grandi che i giovani sentono rispetto a un cammino di consacrazione consiste proprio nell’osservare il voto di obbedienza. Questa visione mi ha molto interrogato, prima di tutto come religioso. Mi sono chiesto come io ho vissuto questo voto durante questi primi venticinque anni di vita religiosa e mi sono interrogato anche su quale immagine dell’obbedienza abbiamo trasmesso agli altri.
Ho realizzato innanzitutto di non essermi mai sentito sottomesso, riconosco però che ci sono situazioni di congregazioni religiose dove effettivamente il potere del superiore è interpretato in maniera erronea non come servizio, ma come occasione di abuso e di privilegio. Queste situazioni incresciose tradiscono il vero senso del consiglio evangelico dell’obbedienza: il suo scopo infatti è quello di essere un baluardo della vita religiosa. La persona che esercita il voto di obbedienza è la persona veramente libera, perché è talmente libera rispetto alla libertà (si perdoni il gioco di parole) da essere capace di consegnarla.
Quando invece non si è capaci di consegnare la propria libertà vuol dire che la libertà stessa ci trattiene, ci possiede, e talvolta diventa il nostro idolo. L’obbedienza difende il nostro cammino verso la santità perché garantisce che, nel dono che facciamo della nostra vita, Dio si rende presente. Non obbediamo infatti al superiore perché egli ha sempre ragione, ma perché obbedendo mettiamo da parte il nostro io e permettiamo a Dio di entrare e lavorare nella nostra storia. L’obbedienza, come diceva san Benedetto nella sua Regola, è il primo gradino verso l’umiltà. Mi rendo ben conto allora che un giovane oggi vive una particolare difficoltà rispetto a questo voto, perché di solito è cresciuto senza il dono (!) di obbedire: se ci sono genitori incapaci di essere leader, cioè incapaci di chiedere di obbedire, ci saranno figli incapaci di vivere l’obbedienza. Come i genitori non riescono a dire dei no per paura del giudizio o per paura di perdere l’affetto, così avremo superiori che vivranno la fatica di esercitare la loro autorità. L’obbedienza rivela allora un aspetto della crisi del nostro tempo, su cui la vita religiosa dovrebbe interrogarsi.