È stata profuga anche lei, «anche se solo per tre mesi. Ed è stato terribile, non dormivo, avevo paura, una esperienza spaventosa». Suor Angélique Nako Namaika, recentemente insignita dall’Unhcr (l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) del premio Nansen per i rifugiati, non nasconde l’emozione quando parla della sua esperienza del 2009, dei mesi in cui, a causa della violenza dei ribelli dell’Lra, dovette lasciare temporaneamente la sua missione di Dungu.
Un centro per la reintegrazione e lo sviluppo, che suor Angélique aveva fondato nel Nord-est della Repubblica democratica del Congo, per accogliere e donne e le ragazze sfollate della regione, in particolare quelle che hanno subito violenza o che sono state rapite dalla Lord resistance army, il gruppo di ribelli nato in Nord Uganda e noto per la sua violenza soprattutto sui minori (spesso rapiti, ridotti a schiavi e a soldati).
«Anche se per me si è trattato solo di pochi mesi», dice suor Angélique, «ho capito quanto ci si può sentire smarriti e sperduti nel momento in cui si è costretti a lasciare forzatamente la propria casa. Pensiamo se a questo si aggiungono le violenze, gli abusi, a volte le torture. Quando le ragazze arrivano da noi è fondamentale ridare loro speranza, dignità, fiducia, farle sentire protette. E poi aiutarle a ricostruire la loro esistenza. A partire dalla formazione, dalla scuola, dall’apprendere un lavoro».
Reinserirle nella società non è semplice: «Bisogna aiutarle non solo a guarire dalle proprie ferite, ma occorre che anche la società le riaccolga. Dopo un rapimento, uno stupro, al trauma si aggiunge anche lo stigma sociale. Occorre lavorare su tutti i fronti».
Suora agostiniana, «perché da bambina ero rimasta colpita da una suora che andava nei villaggi più sperduti per curare lebbrosi e malati di ogni genere», suor Angélique ha accolto oltre duemila donne in circa dieci anni. «Vedere che oggi molte di loro hanno una propria vita e che, spesso, aiutano loro stesse le altre ragazze a diventare autosufficienti, a imparare un lavoro, a ritornare a vivere, è una grande gioia. È terribile toccare il dolore degli altri, ma la forza di farlo e di continuare ad aiutare viene dalla preghiera, dalla fiducia in Dio, ma soprattutto dal grazie e dal sorriso delle persone che hai aiutato».