Una camerata del campo di Dachau. Foto Reuters. In alto: prigioneri polacchi alla liberazione. Fonte: Wkipedia.
l'inferno a nordovest di Monaco di Baviera
Nel 2005 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite stabiì che il 27 gennaio di ogni anno si sarebbe celebrato il Giorno della Memoria: quel giorno del 1945 le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Meno conosciuta è, invece, la data di liberazione da parte dei soldati americani di un altro campo, quello di Dachau: il 29 aprile 1945. In quel campo furono uccisi, tra gli altri, 861 sacerdoti polacchi perciò la Chiesa polacca celebra la “Giornata del Martirio del clero polacco durante la seconda guerra mondiale” proprio il 29 aprile.
Il campo di Dachau alla liberazione. Fonte: Wikipedia.
Il primo campo di sterminio tedesco: nacque nel 1933
Il campo di concentramento di Dachau fu il primo dei campi di sterminio del III Reich. Fu aperto a marzo 1933 su iniziativa di Himmler per la detenzione dei nemici di Hitler e dell’ideologia nazista. E proprio qui fu messa al cancello dell’ingresso la beffarda scritta in ferro battuto: “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi) ben conosciuta dal campo di sterminio di Auschwitz. Dopo lo scoppio della guerra qui venivano portati anche i prigionieri politici e la gente arrestata nei rastrellamenti nei Paesi occupati. Negli anni del suo funzionamento dal 1933 al 1945 in questo campo e nei sottocampi furono rinchiusi circa 250 mila prigionieri di cui quasi 150 mila morirono di malattie, stenti, torture, fucilazioni e, a partire del 1942, a causa dei terribili esperimenti effettuati dai medici; tanti ammalati finivano direttamente nelle camere a gas.
Una delegazione polacca nel campo di Dachau. Foto Reuters.
Il Golgota del clero, soprattutto polacco
A Dachau vennero deportati anche tanti sacerdoti, 2794 in tutto, di cui 1773 polacchi: di questi ulitmi 861 furono uccisi, perciò questo campo divenne il luogo principale del martirio del clero polacco. Tanti prigionieri provenivano dalla Polonia perché il regime nazista voleva eliminare fisicamente l’élite della Polonia occupata (intellighenzia, ufficiali, clero) e ridurre la popolazione polacca a pura manodopera a basso costo. L'ondata di persecuzione dei sacerdoti polacchi cominciò subito dall’inizio della guerra, dal settembre 1939. Durante la seconda guerra mondiale morirono quasi 3.000 sacerdoti, cioè circa il 20 per cento del clero polacco.
“Anche se qui non si vedono tombe, siamo nel più grande cimitero di sacerdoti del mondo. I polacchi hanno subito il sacrificio più grande. (...) La realtà era peggiore della nostra idea di quanto accadeva qui allora” - ha affermato l'arcivescovo di Monaco, cardinale Friedrich Wetter durante la Messa a Dachau celebrata il 30 aprile 1995.
Solo pochissimi sacerdoti sopravvissero all’inferno di Dachau. Tra loro c’erano anche i sacerdoti ben conosciuti successivamente: il cardinale Adam Kozłowiecki, arcivescovo di Lusaka; monsignor Kazimierz Majdański - arcivescovo emerito di Stettino-Kamień, padre Marian Żelazek - missionario, apostolo dei lebbrosi in India e monsignor Ignacy Jeż (Benedetto XVI voleva onorare mons. Jeż con dignità cardinalizia, ma è morto alla vigilia dell'annuncio della nomina nel novembre 2007).
Un sacerdote polacco prega nel campo di Dachau nel 2015. Foto fornita dall'Ufficio stampa della Conferenza episcopale polacca.
martiri e sopravvissuti
Come raccontava monsignor Majdanski all’ingresso del campo si trovava la scritta: “Arbeit macht frei”. Ma in verità il lavoro disumano al freddo d’inverno e caldo d’estate, con insufficienti razioni di cibo, con percosse e umiliazioni doveva servire a distruggere l’uomo. Alla fine, quando la persona non era più in grado di lavorare veniva spedita con i cosiddetti “trasporti degli invalidi” alle camere a gas. Nelle intenzioni di chi aveva costruito campi di concentramento i prigionieri dovevano uscire dal campo con il fumo del forno crematorio. Monsignor Majdanski ricordava la particolare persecuzione dei sacerdoti: “I nostri carnefici tedeschi bestemmiavano Dio, denigravano la Chiesa e ci chiamavano i ‘cani di Roma’. Ci volevano costringere ad oltraggiare la croce e il rosario. A noi, ci rimaneva l’alleanza con Dio, la preghiera recitata di nascosto, la confessione fatta di nascosto. Ma in questa ‘macchina di morte’ ci mancava tanto la santa Eucaristia. La metà dei sacerdoti polacchi imprigionati a Dachau morì in modo eroico. Morivano da testimoni di Cristo, da sacerdoti cattolici e da patrioti polacchi. Nessuno è sceso a patti, tanti morirono dando la vita per gli altri, come san Massimiliano Kolbe ad Auschwitz”.
Il 22 aprile 1945 i sacerdoti polacchi ancora in vita a Dachau fecero un atto di affidamento a san Giuseppe, con l’umile preghiera di essere salvati. E esattamente una settimana dopo, il 29 aprile, l’esercito americano arrivava a Dachau e apriva i cancelli del campo.
Da allora ogni 29 aprile i sacerdoti sopravvissuti all’inferno di Dachau celebravano una solenne Messa di ringraziamento nel santuario polacco dedicato proprio a san Giuseppe che si trova nella città di Kalisz. Per mantenere viva la memoria del martirio dei sacerdoti polacchi nell’inferno nazista di Dachau, che fu una pagina gloriosa della storia della Chiesa, nell’anno 2002 l’episcopato della Polonia ha stabilito che il 29 aprile si celebrerà la Giornata del Martirio del Clero Polacco durante il secondo conflitto mondiale.
Quando ci si avvicina alla successiva Giornata del Martirio del Clero Polacco, dal Brasile è arrivata la notizia della morte, il 12 aprile all’età di 107 anni di Wladyslaw (Ladislao) Klinicki, il più anziano salesiano del mondo ma anche l’ultimo sacerdote che sopravvisse all’inferno dei campi nazisti. Nato in Polonia nel 1914, don Klinicki, durante la seconda guerra mondiale venne fatto prigioniero e passò attraverso vari campi di prigionia tedeschi (Gross-Rosen, Mittelbau-Dora, Boelcke-Kaserne) sfuggendo per poco alla morte. Diceva spesso: “Sono rimasto vivo grazie a Gesù Misericordioso”. Dopo la guerra venne inviato missionario in Ecuador, dove rimase fino al 1968, e poi fu mandato in Brasile per accompagnare la cappellania per i Polacchi presenti a San Paolo. Per anni faceva da confessore “itinerante” nelle case dell’Ispettoria salesiana. Nonostante qualche “acciacco” legato all’età, ma molto lucido mentalmente, viveva gli ultimi anni della sua vita nella comunità salesiana “Santa Teresinha” di San Paolo, presso la residenza per confratelli anziani e ammalati. Per tutta la sua vita, spesso drammatica e piena di pericoli, questo sacerdote sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi confidava nella Misericordia di Dio e ripeteva sempre “Gesù, io confido in Te!”.
Wlodzimierz Redzioch