La questione morale, termine ricorrente nel nostro attuale discutere di politica, è innanzitutto una espressione che ha un luogo e una data di nascita. La Repubblica, 1981. Fu in una intervista a Eugenio Scalfari che Enrico Berlinguer la coniò, e da allora è come una scia che segue il suo nome come una cometa. E’ come dire questione meridionale e associare Salvemini, Dorso e Sturzo. Come parlare di questione settentrionale e pensare a Miglio e Bossi, si parva…
Il segretario del Pci, della cui scomparsa ricorrono i trent’anni, chiarì meglio cosa intendesse dire due anni più tardi, sempre in un colloquio con il fondatore di la Repubblica. Val la pena di citare: “Noi - disse Berlinguer - vogliamo un governo diverso, un governo-istituzione, formato sulla base dell'articolo 92 della Costituzione, cioè che nasce su scelta del presidente del Consiglio incaricato dal capo dello Stato senza patteggiamenti con le segreterie dei partiti”. Ed ancora: “Siamo certi che se si cominciasse a far così l'esempio si trasmetterebbe alle istituzioni minori, enti, banche, unità sanitarie, televisione e tutta l'infinita serie del sottogoverno. Questo è per noi il governo diverso”.
Diversità. Altra parola chiave della sinistra d’antan. Il Pci di Berlinguer non era “diversamente morale” semplicemente perché censurava le ruberie dei partiti. Era diverso – o si pretendeva tale - perché considerava i partiti stando alla lettera della Costituzione, ovvero come strumenti di mediazione del consenso tra il popolo e lo Stato. Strumenti, dunque mezzi e non fini.Quel che Berlinguer aveva invece osservato fin da quando il boom aveva reso l’Italia un Paese “affluente” era invece una sorta di occupazione manu militari della cosa pubblica che dura ancora oggi. Le loro segreterie decidevano, allora e forse ancora, i vertici della Rai; degli enti di Stato che producevano l’energia elettrica e la benzina; delle aziende parastatali che allacciavano i fili dei telefoni. C’era il nome dei partiti perfino su alcune etichette di pomodori pelati e di pasta. Senza parlare, ovviamente, della sanità: dall’ospedale di campagna alle Asl delle metropoli nulla si faceva e muoveva, fosse nomina di primario o trasferimento di portantino senza l’assenso del notabile di turno, segretario regionale, provinciale o cittadino.
Tutto questo aveva trasformato i partiti. E così facendo ha geneticamente cambiato la stessa politica e il suo personale, dando spazio, sfogo e quasi sfoggio a una tentazione eterna: quella di fare del potere un obiettivo e non uno strumento di servizio. Berlinguer - che forse non si sarebbe mai paragonato a Papa Francesco come è tentato di fare oggi Eugenio Scalfari - aveva ben studiato Machiavelli e non aveva certo del potere idea francescana. Sapeva fin troppo bene che conquistarlo è male necessario e occorre forza e astuzia in ugual grado. Ma rincorreva l’eterna illusione che gli effetti del potere possano essere benefici non per pochi ma per i più. Fu per questo che denunciando l’esondazione dei partiti disse all’Italia intera “ Il re è nudo”. Fu il primo parlare di questione morale perché fu il primo a intuire che il privilegio di pochi scavava un solco di fiducia tra i molti e lo Stato. E che questo avrebbe avuto devastanti effetti di lunga durata. La sua “questione morale” resta come una pietra lanciato in uno stagno le cui ondate ancora oggi ci provocano. E’ diventata quasi un indimostrabile teorema sulla natura stessa degli italiani (di quelli almeno che serbano memoria di Leopardi e del suo Discorso sopra lo stato presente degli Italiani, anno 1824). Di sicuro la questione morale è ancora oggi la scia di una cometa che di nome faceva Berlinguer. E la cui attualità è oggi ancora vivissima.