È uno dei sei ragazzi che ha vissuto un’esperienza
unica accanto a don Lorenzo Milani.
L’ha conosciuto bene come prete e maestro,
ma anche come uomo e padre. Per anni, come
presidente della Fondazione Don Milani, ha
dato la parola direttamente al priore di Barbiana,
pubblicando e divulgando i suoi scritti.
Ora, per la prima volta, Michele Gesualdi
parla direttamente di don Milani, attingendo al prezioso
scrigno dei tanti ricordi che s’è tenuto gelosamente
dentro, per rispetto al suo “maestro”.
E lo fa con uno straordinario libro, L’esilio di Barbiana
(edito dalla San Paolo), con rivelazioni inedite sulla vita
di don Milani. Ma anche sulle mille sofferenze che l’amore
infinito che aveva per il Vangelo, i poveri e la Chiesa gli
hanno procurato dentro e fuori la sua stessa comunità
ecclesiale. Un profeta incompreso e avversato, che oggi si
prende una rivincita sulle tante falsità e cattiverie patite,
con un crescendo di interesse per la sua opera e il suo
insegnamento. Quella “cattedra del niente” ha varcato i
confini di uno sperduto e sconosciuto paesino dell’Appennino.
E ci interpella su temi cari a don Milani, oggi
forse ancora più attuali, come se il tempo si fosse fermato.
Come spiega – chiedo a Michele Gesualdi – questo
“miracolo di Barbiana”? Qual è il suo segreto?
«Don Lorenzo trovò nell’esilio di Barbiana la povertà
e l’emarginazione più profonda, se ne fece carico con
dedizione e amore straordinario.
Non come opera di carità, ma come
impegno di vita volto a combattere
le cause che feriscono gli ultimi, perché
l’ingiustizia sociale offende Dio e
gli uomini. L’elemosina umilia chi la
riceve e gratifica chi la elargisce. Chi
ama veramente i poveri, invece, si batte
ogni giorno per rimuovere le cause
che provocano emarginazione sociale
e umiliazione. Era questo un punto
fermo nel suo insegnamento».
Come si poneva don Lorenzo Milani
nei confronti della società del
nostro Paese?
«A 17 anni mi mandò un anno in
Germania per perfezionare la lingua
tedesca. All’inizio ero reticente, “Devi
andare per imparare a dominare più
lingue straniere possibile”, mi disse, “e
diventare un giorno eurosindacalista.
Dopo manderò anche gli altri e se fallisci
te, mi fallisce la scuola”. L’obiettivo
del suo insegnamento era renderci
cittadini consapevoli capaci di lottare
contro le ingiustizie sociali. La sua era
una scelta di parte totale, da rivendicare
direttamente nella responsabilità
di ministro evangelico. Una posizione
che difendeva con forza e fermezza,
una scelta tutta religiosa che non fu
capita né fuori e né dentro la Chiesa.
Dirà al giovane comunista Pipetta:
“Quando avremo sfondato insieme la
cancellata del ricco, quel giorno ti tradirò
e tornerò nella tua casa piovosa e
puzzolente a pregare per te di fronte
al mio Signore crocifisso”. Questo il
vero segreto che ha consentito a don
Lorenzo di parlare molto lontano sia
come tempo sia come luogo: l’amore
sconfinato per i poveri. Oggi il segno
della sua autenticità si intravede nella
sproporzione tra l’esiguità di Barbiana
e l’incidenza che ha avuto nel mondo».
La Chiesa non ha colto la “profezia”
di don Milani. Anzi, l’ha esiliato
e avversato in ogni modo, e non ha
accettato la sua eredità. Sono passati
anni perché fosse riabilitato. E solo
nel 2014, con papa Francesco, è venuto
meno il divieto di pubblicare il suo
famoso libro Esperienze pastorali. C’è
il rischio di celebrare don Milani, appropriandosi
di qualche suo slogan,
senza averne compreso a fondo l’insegnamento?
«L’esilio di Barbiana non è stato
un errore momentaneo ma, come dimostro
nel libro, una volontà precisa
che lo ha colpito per tutta la vita, anche
dopo, nel tentativo di chiudergli
la bocca e uccidere il suo modo di fare
apostolato. Con lui non è stata tenera
neppure la Magistratura, che lo ha
processato per la sua difesa all’obiezione
di coscienza e condannato per
apologia di reato. Non da meno, ampi
strati della società civile che l’hanno
insultato e strumentalizzato in modo
feroce. Oggi che si è affermato come
autentico servitore di Dio e che con le
sue idee e denunce si è imposto tra i
più lucidi innovatori della società, il
clima è cambiato. Molti hanno compreso
quanto la mancanza di interesse
personale renda onesti e lucidi
nella ricerca della verità e onorano
don Lorenzo recandosi, da pellegrini e
in punta di piedi, nel suo eremo. Altri
invece lo celebrano non per servirlo
ma per servirsene oppure, anche tra
i sacerdoti, mostrano di esaltarlo ma
gli sono lontanissimi con l’esempio di
vita. I poveri che sono stati accolti da
don Lorenzo giudicano severamente
i primi. Gli altri, sarebbe bene si ricordassero
che è difficile seppellire il
martirio se non si ha uno stile di vita
coerente con i valori indicati da colui
che si vuol celebrare. Papa Francesco,
eliminando dopo 56 anni la condanna
a Esperienze pastorali, ha abbracciato
davvero don Lorenzo e la sua attività
pastorale».
Il cuore dell’opera di don Milani
è stata la scuola. Attraverso un’educazione
che insegnava a vivere e a
riscattarsi da una condizione di inferiorità
ed emarginazione, ha dato
ai suoi ragazzi la possibilità di entrare
da protagonisti nella società
per cambiarla. Crede che la lezione
di Lettera a una Professoressa sia stata
accolta dalla scuola odierna o molti
alunni restano ancora indietro?
«La scuola di don Lorenzo indicava
ai ragazzi sempre obiettivi nobili
e alti per cui studiare. Non si lasciava
mai nessuno indietro. Se un ragazzo
si fermava veniva preso per mano e
portato al livello degli altri per riprendere
il cammino insieme. Purtroppo la
scuola di Stato indica obiettivi molto
più individualistici. I ragazzi hanno
dentro corde straordinarie: se riusciamo
a far vibrare quelle giuste si impegnano
straordinariamente, se invece
si toccano quelle sbagliate mandano
tutto al diavolo e si perdono. Tocca in
primo luogo alla scuola e alla famiglia
far vibrare le corde giuste, oggi poi che
sono moltiplicati i cattivi maestri:
droga, violenza e, se mal usati, Internet
e telefonini. E lo Stato anziché aiutare
i bravi maestri, e ce ne sono tanti, ha
spesso prodotto riforme lontane dalla
lezione di Lettera a una Professoressa
mentre, con qualche ipocrisia, emana
francobolli per ricordare Barbiana.
Purtroppo la scuola è ancora selettiva
e la dispersione altissima. Continua a
colpire le nuove e tante Barbiana del
mondo che hanno solo cambiato luogo
e colore della pelle».
A don Milani hanno appiccicato
tante etichette: “prete di sinistra”,
“prete rivoluzionario”, “prete contestatore”,
“prete eccentrico”, “prete
sovversivo”. Ma gli hanno detto anche
di peggio, sia da parte del mondo
laico sia da parte della Chiesa: qual è
la migliore definizione da parte di chi
l’ha conosciuto davvero a fondo?
«Don Lorenzo era un prete, un
prete che ha vissuto la sua vocazione
con autenticità e dedizione assoluta.
Era fedelissimo alla sua Chiesa, guai
a chi gliela toccava: “Io nella Chiesa
ci sto per i sacramenti, non per le mie
idee”, diceva, “e ubbidisco subito per
non perderli, perché valgono infinitamente
più delle mie idee”. Oppure:
“Amo la mia carissima moglie Chiesa
molto più di quando la incontrai la
prima volta”. Lui parlava chiaro al
suo vescovo, non per contestarne
la funzione, ma perché avrebbe voluto
un impegno diverso a favore degli ultimi.
Era un sacerdote rigorosissimo e
di grande fedeltà. Tutte le scelte dopo
la conversione le ha fatte come prete,
per servire Dio e la Chiesa».
L’amore per i poveri e l’impegno
per la giustizia sono alla base della vocazione
di don Milani, come cristiano
e come prete. Disse d’aver amato più
i poveri che Dio stesso. Secondo lei,
una scelta evangelica così radicale è
presente nella Chiesa d’oggi?
«Papa Francesco si muove su questa
strada, ogni giorno ci ricorda le
scelte di povertà e accoglienza nei
confronti dei più bisognosi. Sta sicuramente
stimolando tutta la Chiesa
a vivere questi valori con impegno e
coerenza».
Crede che don Milani sarebbe piaciuto
a papa Francesco? In che cosa
sono simili tra loro?
«Papa Francesco sarebbe piaciuto
molto a don Lorenzo, tra i due noto
diverse affinità. Prima di tutto la scelta
verso i poveri e il comune riferimento
alla figura e all’esempio di san Francesco.
Un anno, su disegno del Priore realizzammo
un mosaico di vetri colorati.
Rappresentava un fraticello, ad altezza
naturale, che studia nel prato, vestito
con saio e sandali francescani. Anche
don Lorenzo portava quei sandali con
plantari ritagliati da un copertone e
tenuti da due strisce di cuoio. “Lo abbiamo
fatto in vostro onore”, disse a
noi ragazzi, “che conducete una vita da
fraticelli di clausura”. Quel mosaico lo
mise in chiesa a Barbiana, dove si trova
tutt’ora. Sorprendono poi le definizioni
che entrambi danno di loro stessi:
papa Francesco spesso chiede di pregare
per lui “peccatore” a cui il Signore
“ha rivolto lo sguardo”. Don Lorenzo si
confessava spessissimo per essere ripulito
dai suoi peccati. Partiva spesso
da Barbiana, alle 6 del mattino, e camminava
40 minuti nel bosco per confessarsi
nella parrocchia più vicina.
“La scuola insegna a capire la realtà”,
ha dichiarato pubblicamente Bergoglio,
“e se uno ha imparato a imparare
rimane una persona aperta alla realtà.
Lo insegnava anche un grande educatore
italiano, che era un prete, don Lorenzo
Milani.” A Barbiana si imparava
facendo e si apprezzava la scuola. Papa
Francesco con queste parole ha invitato
ad amare la scuola come veniva
fatta dal prete Lorenzo Milani. Sono
entrambi educatori capaci di valorizzare
le piccole cose nel grande progetto
che guida Dio. Sarebbe bello se papa
Francesco con il suo stile semplice si
recasse a Barbiana, profonda periferia
d’Italia, per dire una preghiera sulla
tomba di don Lorenzo».
A cinquant’anni dalla morte di
don Milani, quale “seme di speranza”
vorrebbe che rifiorisse per la società
e per la Chiesa da quella dura terra di
Barbiana?
«Intanto vorrei che Barbiana restasse
luogo di pensiero e preghiera.
Come Fondazione Don Lorenzo Milani
continuiamo a contrastare ogni
tentativo di trasformarla in luogo di
scampagnate e curiosità turistiche per
mantenerla povera e austera come ai
tempi di don Lorenzo. Una povertà che
parla, racconta la sofferenza e il riscatto.
Il seme della speranza seminato da
don Lorenzo è teso ancora oggi a colmare
la differenza tra i primi e gli ultimi,
i ricchi e i poveri, i colti e gli incolti,
la fame e lo spreco, la guerra e la pacifica convivenza. Ingiustizie e sofferenze
che si stanno allargando e che devono
essere combattute con l’impegno personale
e la responsabilità di ognuno».
Lei ha ancora una “montagna di
memorie” su don Lorenzo Milani
che, nonostante le pressioni di sua figlia Sandra, continua a tenere riservate
nella sfera dell’anima. Possiamo
sperare che, prima o poi, ceda alle
insistenze di sua figlia per una prossima
condivisione di quell’immenso
patrimonio che è stata l’esperienza
di Barbiana?
«Resto convinto che don Lorenzo
si conosca ascoltandolo direttamente,
per questo per molti anni dopo la sua
morte l’ho fatto parlare. Raccogliendo
e pubblicando le lettere postume, poi
rendendo noti i carteggi ai sacerdoti
e altri suoi scritti o interventi inediti.
Questo ha consentito di spazzare ogni
ombra su di lui e imporlo per l’autentico
uomo di Dio che ha servito la sua
Chiesa con coerenza e fedeltà attraverso
la cura dei suoi poveri. Oggi è per
tanti punto di riferimento nella Chiesa,
nella scuola, nella società. È la prima
volta che parlo direttamente di lui
e l’ho fatto per rispondere alla domanda
ricorrente dei ragazzi delle scuole
che salgono sempre più numerosi con
i loro insegnanti a Barbiana. Impressionati
dalla scarsezza e inagibilità del
luogo e dai messaggi che da là sono
partiti chiedono: “Ma perché lo hanno
scacciato lassù per tappargli la bocca?”.
I ragazzi meritavano una risposta. Poi
il lavoro ha assunto una valenza più
ampia e articolata e mi auguro che
possa aiutare a far conoscere meglio
il don Lorenzo prete, uomo, maestro e
padre. È vero, dei tredici anni trascorsi
a Barbiana accanto a lui avrei tante
altre cose da raccontare e non escludo
di farlo in futuro. Senza però intaccare
i sentimenti e gli affetti personali che
appartengono alla sfera dell’anima e
che, soprattutto nei confronti dei familiari,
si desidera conservare per sé.
Come fanno con me i miei figli, compresa
Sandra».