Benedetto XVI arriva a Carpineto Romano per ricordare i duecento anni dalla nascita di Giacchino Pecci, Papa Leone XIII, il Pontefice che ha scritto la Rerum Novarum, la madre di tutte le encicliche sociali della Chiesa cattolica. E’ il terzo Papa che sale i tornanti della strada che porta al piccolo paese attaccato alla rocca sui Monti Lepini, una manciata di chilometri a sud di Roma. Nel 1966 era venuto Paolo VI e poi nel 1991 Giovanni Paolo II.
Il sindaco di Carpineto, Quirino Briganti, racconta l’orgoglio del borgo nel suo ufficio colmo di memorie del suo cittadino più illustre, ricordato anche nello Statuto del Comune. Carpineto è un paese antico, case appese alle rocce e circondate da una foresta maestosa. La sua storia intreccia duchi e nobili pontifici. L’ha scritta in decine di libri Italo Campagna, storico del luogo, scopritore di carte inedite e di molto altro, direttore scientifico dei musei che onorano il borgo. Il ducato più importante fu quello degli Aldobrandini, il “bello Stato”, esempio di amministrazione e di ottima organizzazzione del territorio nel Rinascimento, che ha permesso a Carpineto di avere una struttura urbana che ha resistito nel tempo. Ma è stato al tempi dei Pecci e del loro più illustre rappresentante, Gioacchino, che Carpineto si mise all’avanguardia. Fu il primo paese in Italia ad avere l’illuminazione pubblica a gas di acetilene e Papa Leone XIII fece venire i migliori ingegneri per organizzare l’acquedotto. Poi scuole, l’ospedale, l’ospizio per gli anziani, la prima cassa rurale di credito cooperativo. Insomma il Papa della Rerum Novarum non solo scrisse sulla dottrina sociale, ma l’applicò per primo nel suo paese natale. Nel sito internet dell’amministrazione comunale (www.carpinetoromano.it) si trova molto della storia del piccolo borgo dei monti Lepini, anche le antichissime fotografie dei fratelli Alinari. Un clic vale la pena di spenderlo.
Eccoli i cimeli di papa Leone XIII: il suo cappello, gli occhiali, il rasoio da barba, le scarpe, comprese quelle un po’ più lunghe che uscivano dalla veste pontificia per permettere ai fedeli in san Pietro di accedere all’antico rito del bacio della “sacra pantofola” sommo omaggio al Pontefice. Sono raccolti e ben spiegati nel museo dedicato a Leone XIII nel cuore di Carpineto nella chiesa di San Nicola, abbazia del XIII secolo, che era la chiesa parrocchiale della famiglia nobile dei Pecci non distante dal palazzo della famiglia. Molti di essi, tra cui alcuni appunti segreti del Papa, sono arrivati al museo praticamente trafugati dal Vaticano al termine del Pontificato di Leone XIII dal suo assistente di Camera, un carpinetano fedelissimo di nome Centra.
Tra gli appunti c’è anche quello in cui Papa Leone esclude con un tratto di penna il nome di “Sarto”, cioè il suo successore, Pio X, da una lista per un concistoro, cioè alla promozione a cardinale. Ci sono i vestiti, i guanti, gli zucchetti di raso bianco e rosso e il galero con una corposa decorazione in oro. Poi le stoviglie papali e i bastoni utilizzati da Leone XIII. E infine veline di discorsi e appunti circa i comportamenti da tenere nelle solenni udienze pontificie. Papa Pecci governava la Chiesa e non dimenticava il suo borgo sui monti Lepini. Narrano in paese che più volte vi tornò in segreto traversito da semplice frate cappuccino, in una carozza senza insegne di notte, sfidando i soldati del nuovo Stato unitario. I Papi dopo l’unità d’Italia si erano in pratica autoconsegnati “prigionieri” nel Palazzo Apostolico. Pecci tornava a Carpineto soprattutto per verificare gli affari di famiglia. Ne esce un Lone XIII intimo che non appare nei libri di storia, un uomo che si occupa di tutto, anche di ricevere in udienza il “nuovo vignarolo” pontificio, custode fedele della vigna che lui volle fosse portata nei Giardini Vaticani.
Il pontificato di Leone XIII, insieme a quello precedente di Pio IX segna, il secolo Ottocento. Il 20 febbraio 1878, dopo un Conclave di appena un giorno mezzo, la sua elezione fu accolta con particolare soddisfazione anche dai politici italiani che attendevano un riavvicinamento con la Chiesa. La convinzione veniva tratta dal fatto che il cardinale Pecci, camerlengo di Pio IX, aveva autorizzato le truppe italiane ad entrare in San Pietro per il servizio d’ordine durante i tre giorni di esposizione della salma di Pio IX. Ma le attese vanno subito deluse. Leone XIII non si affaccia alla loggia esterna della basilica per la benedizione e l’incoronazione avviene nell’intimità della Capella Sistina, due segnali che anche Leone XIII non accetta la situazione imposta dal governo italiano dopo il 1870.
Sul piano politico era intransigente quanto, se non di più, del suo predecessore. Ma erano tempi i suoi non facili, perché come interlocutore ebbe Crispi, il “politico dittatore”, come lo definì lo storico Pietro Scoppola. Ecco la ragione delle numerose encicliche politiche dove si vietava la partecipazione alla vita pubblica, considerata in contraddizione da molti con le aperture sociali. Leone XIII era sicuramente meno sensibile di Pio IX alla mistica del Risorgimento e alla grandezza dell’ideale dell’unità d’Italia. Aveva qualche mania ancora da grande sovrano, come la sua gioia il giorno in cui Bismarck gli indirizzò una lettera che iniziava con la parola “Sire!”. Intellettualmente era curioso. Accettò di farsi riprendere da una cinepresa, primo Papa nella storia nel 1898, ad appena due anni dalla nuova invenzione e primo Papa ad incidere la sua voce su un disco. A lui si deve l’apertura dell’Archivio segreto vaticano e la nomina a cardinale di nominare di Henry Newman, il teologo anglicano convertito al cattolicesimo, che Benedetto XVI beatificherà durante il viaggio nel Regno Unito.
La “Rerum novarum” di Leone XIII, insieme alla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, è l’enciclica più nota della storia della Chiesa cattolica. Segna il passaggio dalla fase di condanna a quella della comprensione e del chiarimento, in senso cattolico, della “questione operaia”. Il primo schema fu portato al Papa nel 1890. L’enciclica viene pubblicata un anno dopo. Affronta tutti i problemi più dibattuti all’epoca. Ribadisce il diritto alla proprietà, ma ne sottolinea la fuzione sociale e attribuisce allo Stato il compito di promuovere la prosperità pubblica e privata, quando gli altri soggetti non sono in grado di farlo in modo sufficiente. Il punto di maggior rilievo è quello che va contro la concezione puramente economica del salario e afferma il principio del valore umano del lavoro e del salario come giusta retribuzione per organizzazione di una buona vita.
Dal punto di vista politico l’enciclica si pone contro la lotta di classe, ma riconoscere il diritto agli operai di riunirsi in associazioni per rivendicare condizioni di vita e di lavoro migliori. Questo ragionamento fu inserito nell’enciclica solo nell’ultima versione dopo un dibattito tra i vari estensori assai importante. Apre la strada all’idea di sindacato. L’accoglienza della “Rerum novarum” non fu facile, perché i cattolici subito si divisero sui mezzi per affrontare la questione sociale. La discussione si trasferì sul piano politico e soprattutto attorno al ruolo della democrazia. In Italia fu soprattutto Giuseppe Toniolo e l’Opera dei Congressi a dare vigore alle idee contenute nella Rerum Novarum.