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12 gennaio, 4° anniversario del sisma
 

Dove sono finiti gli aiuti per Haiti?

12/01/2014  La gestione del dopo-terremoto dimostra cosa non funziona nella risposta internazionale alle emergenze umanitarie

Nel quarto anniversario del terremoto che ridusse a un cumulo di macerie Port-au-Prince, causando 200 mila morti e un numero impensabile di senza tetto, appare chiaro che oggi Haiti è un'emergenza dimenticata. Non dalle tante associazioni presenti ad Haiti prima e dopo il sisma, che hanno continuato a lavorare in tutti questi anni in condizioni sempre difficilissime, ma dalla comunità internazionale nel suo complesso.

Un fatto quasi paradossale, a guardare l'ammontare degli aiuti umanitari internazionali per il Paese caraibico: più di 9 miliardi di dollari, una cifra superiore all'intero prodotto interno lordo di Haiti. Eppure, quattro anni dopo, la maggior parte degli haitiani non ha ancora accesso a elettricità o acqua potabile, non dispone di strade, infrastrutture in genere e migliaia di persone vivono ancora in tende ormai lacere, sotto il costante rischio di nuove epidemie. Tutte le condizioni che facevano di Haiti uno degli Stati più poveri al mondo, quindi, non solo sono ancora presenti e, anzi, si sono aggravate, ma non sono nemmeno state intaccate da un ingente afflusso di aiuti, donazioni e capitali dall'estero dopo il terremoto.

Soprattutto sarebbe essenziale capire cosa non ha funzionato nel caso di Haiti perché tanto nel presente, come nelle Filippine colpite dal tifone Haiyan, quanto in futuro la comunità internazionale possa organizzare e gestire una macchina degli aiuti e della ricostruzione più efficente.

In particolar modo, nonostante gli sforzi di istituzioni nazionali, internazionali e Ong verso una maggiore trasparenza nell'arrivo a destinazione e nell'impiego degli aiuti, per esempio con il varo della piattaforma IATI (International Aid Transparency Initiative), a oggi è praticamente impossibile capire come sono stati spesi i soldi, quanti haitiani sono stati raggiunti dagli aiuti, quali progetti hanno funzionato e quali hanno fallito con uno sguardo d'insieme.

Vijaya Ramachandran di Center for Global Development ha provato ad analizzare i dati reperibili dell'USAID (United States Agency for International Development) relativi agli aiuti statunitensi ad Haiti nel 2013. Va ricordato che gli Stati Uniti sono il Paese che ha contribuito a un terzo degli aiuti internazionali complessivi, con 3 miliardi di dollari.

Ramachandran rileva che la quasi totalità degli appalti (92 per cento) sono stati assegnati a enti e società di stanza negli Stati Uniti e che la maggioranza sono andati a società profit: tra queste Chemonics, ente per la cooperazione e lo sviluppo internazionale, ha ottenuto 7 dei 10 maggiori contratti per un ammontare complessivo di 42 milioni di dollari. Sebbene i "contractors" subappaltino quasi sempre a società terze la realizzazione concreta del progetto, per legge sono i contractors a dover rendere conto all'USAID dell'attività svolta. Eppure Center for Global Development non ha trovato traccia di queste informazioni e ha sottilineato che la destinazione d'uso di questi fondi ("crescita economica", "democratizzazione delle istituzioni") è a dir poco vaga, difficile da interpretare e non rispondente a parametri di valutazione stabiliti dall'USAID.

In definitiva, a quattro anni di distanza, tutte le zone d'ombra che ancora avvolgono la macchina internazionale della ricostruzione ad Haiti finiscono per offendere gravemente la dignità di milioni di haitiani colpiti dal terremoto, sviliscono gli sforzi, la solidarietà e talvolta anche i sacrifici economici non indifferenti di altrettanti milioni di cittadini del mondo, che avevano voluto contribuire in prima persona con una donazione ad aiutare questo Paese sfortunato. E sono infine uno schiaffo in faccia alla genuina attività di cooperazione che tante Ong, italiane e internazionali, svolgono da anni sull'isola; attività che il terremoto del 2010 non ha interrotto ma ha intensificato: sostegno all'educazione, assistenza sanitaria e formazione professionale, infrastrutture come scuole e acquedotti costruiti o ristrutturati. E soprattutto attenzione per l'aspetto umano della cooperazione, che evidentemente altrove non è mai stato preso in considerazione.

 
 
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