L’Ecuador è in stato di «conflitto armato interno»: questa è stata la dichiarazione del presidente Daniel Noboa - il 36enne imprenditore salito al vertice del Paese il 23 novembre del 2023 – dopo l’azione di un gruppo armato che a Guayaquil ha invaso gli studi del canale TC Televisión, durante una trasmissione in diretta televisiva, tenendo sotto sequestro i dipendenti. Nello stesso tempo, la città portuale e altre zone del Paese sono state teatro di diversi attacchi violenti legati a bande criminali. In totale almeno dieci persone sono rimaste uccise, inclusi due agenti di polizia che sono morti a Nobol, a Nord di Guayaquil. Nel canale televisivo, la situazione è tornata sotto controllo dopo l’intervento della Polizia nazionale che ha liberato i dipendenti e arrestato tre persone sospette.
Come riporta la stampa locale, più di 300 giornalisti dell’Ecuador e di altri Paesi, dalla Colombia al Messico, dalla Spagna agli Stati Uniti, hanno unito le loro voci in un manifesto per condannare l’attacco a TC Televisión e, in generale, tutti gli attacchi agli organi di stampa e per esigere azioni di protezione da parte dello Stato e garanzie per proseguire il loro lavoro. «Questa è la dimostrazione di come il crimine organizzato punti sulla stampa come uno dei suoi bersagli», si legge nel comunicato. «L’Ecuador ha terminato il 2023 come il Paese più violento dell’America latina. In questo anno ha registrato anche l’esilio di nove giornalisti, un numero inedito nella nostra storia. Le minacce di morte sono aumentate del 275% e anche gli attacchi armati contro i comunicatori sono aumentati».
Due giorni prima dell’invasione armata della Tv, Adolfo Macías, detto "Fito", leader della banda Los Choneros, uno dei gruppi criminali più pericolosi dell’Ecuador (fondato negli anni '90 a Chone, città costiera della provincia di Manabí), condannato a 34 anni di carcere per criminalità organizzata, narcotraffico e omicidio, era scomparso dalla prigione del Litoral di Guayaquil, dalla quale continuava a mantenere il controllo su Los Choneros. La fuga del Fito ha provocato sommosse in altre carceri del Paese e proteste per le strade che hanno spinto il presidente a decretare lo stato di emergenza e coprifuoco di 60 giorni. Il giorno seguente Noboa ha dichiarato l’esistenza di un conflitto armato interno al Paese.
Nel decreto esecutivo firmato il 9 gennaio da Noboa, dopo l’invasione armata del canale televisivo, sono elencati 22 gruppi del «crimine organizzato transnazionale», che vengono definiti come «organizzazioni terroriste e attori belligeranti non statali». Per «neutralizzare» questi gruppi, considerati come nemici diretti dello Stato, il decreto assegna poteri speciali all’esercito – sotto il diritto internazionale umanitario – per garantire la sovranità e integrità territoriale.
L’Ecuador è diventato il principale Paese esportatore di cocaina - di cui non è produttore - dal Sud America verso gli Stati Uniti e l’Europa. E Guayaquil, la città più grande Paese, è oggi la più pericolosa: i suoi porti sono diventati punto di partenza dei carichi di droga. Il numero elevato di morti violente ha collocato il Paese al primo posto per insicurezza tra gli Stati dell’America latina. In preda al caos e a una violenza sempre più diffusa legata principalmente al narcotraffico, lo Stato ecuadoriano si trova ad affrontare la crisi più grave degli ultimi decenni della sua storia.
(Nella foto Reuters in alto: militari davanti al Palazzo presidenziale a Quito)