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martedì 06 giugno 2023
 
 

Il trionfo dei Fratelli Musulmani

24/06/2012  Mohammed Morsy, candidato dei Fratelli Musulmani, è il nuovo presidente. Una svolta epocale che non lascia tranquillo l'Occidente.

Con la vittoria di Mohammed Morsy, il candidato dei Fratelli Musulmani che, con il 51,7% dei voti ha sconfitto al ballottaggio il rivale Ahmed Shafiq, rimasto al 48,3%, l'Egitto si accinge a un esperimento che non sarà esagerato definire di portata storica.


Intanto, per la prima volta nella sua storia cominciata con il colpo di Stato di Nasser nel 1952, la Repubblica araba d'Egitto ha un presidente eletto con una procedura democratica. Confusa, a tratti isterica e soprattutto lunga, ma democratica. E per la prima volta si tratta non di un militare o di un ex militare ma di un civile, un ingegnere di 61 anni che ha studiato negli Usa. Ed è un presidente, Morsy, che fu incarcerato sotto il regime di Hosni Mubarak, l'uomo che ha controllato l'Egitto per trent'anni ed è stato cacciato solo sedici mesi fa. Pochi cambiamenti potrebbero essere più radicali di questo: l'Egitto saprà metabolizzarlo?

E poi c'è l'origine politica di questo presidente. Morsy, com'è noto, è uno dei dirigenti dei Fratelli Musulmani. Non doveva essere lui, a correre per la presidenza, bensì il miliardario (è un industriale del tessile) Khairat Saad Al Shater, eliminato per decisione dell'inflessibile Commissione elettorale egiziana. Incredibile ma vero, la sua colpa era di essere uscito dal carcere meno di un anno e mezzo prima della data di iscrizione alla competizione elettorale. Anche se in carcere Al Shater ci era finito sempre per ordine di Mubarak.

Dire "Fratelli Musulmani" in Medio Oriente provoca reazioni uguali e contrarie: furore ed esaltazione, in pari intensità. Nella scheda allegata a questo dossier proviamo a ricostruire la loro storia. Portatori di un'interpretazione politica dell'islam, sono da decenni uno degli spauracchi dell'Occidente. Mubarak fu il primo dei leader egiziani a legalizzare la loro presenza e nel 1984 li autorizzò a partecipare alle elezioni, anche se con condizioni tali da rendere vana qualunque loro ambizione.


Ieri, alla notizia della vittoria di Morsy, i primi a festeggiare sono stati i militanti di Hamas a Gaza. Lo stesso Morsy, d'altra parte, aveva cominciato la campagna elettorale denunciando il Trattato di pace firmato da Egitto e Israele nel 1979 e indicando come modello la teocrazia iraniana. Con il procedere della campagna elettorale i suoi toni si sono molto placati, senza però fugare i dubbi che accompagnano da sempre l'attività politica dei Fratelli e, soprattutto, la loro comprovata contiguità alle frange estreme dell'islamismo quando non direttamente ai gruppi del terrorismo islamico.

Quella di Morsy, quindi, è una sfida enorme. L'Egitto ha un disperato bisogno di normalità e di ripresa economica, dopo due anni di sconvolgimenti che avrebbero piegato anche Paesi più solidi. E ha bisogno, anche, di ricostruirsi dall'interno. I militari, che governano il Paese attraverso il Consiglio supremo delle Forze Armate diretto dal generale Al Tantawi, si sono congratulati con Morsy, mostrando così di accettare la vittoria dei Fratelli Musulmani anche contro il "loro" candidato, Ahmed Shafiq appunto (era stato l'ultimo premier di Mubarak). Ma pochi giorni fa avevano "accettato" anche la decisione della Corte Costituzionale che aveva sciolto il Parlamento giudicando illegittima l'elezione di un terzo dei suoi componenti.

Nel Parlamento, eletto solo sei mesi prima, i Fratelli Musulmani avevano una cospicua maggioranza. In quel modo, i generali evitano che il monopolio del potere politico cada nelle mani del loro vero e unico rivale, i Fratelli appunto. Un equilibrismo che serve anche a tranquillizzare l'Occidente, Stati Uniti in testa, ma che potrà resistere solo se Morsy e il suo movimento accetteranno lo stato di fatto e saranno disponibili ad abbandonare il radicalismo islamista. In caso contrario, gli scossoni saranno fortissimi.

La nascita del movimento dei Fratelli Musulmani risale alla fase di complesso rimescolamento, ideologico e territoriale, che investì il Medio Oriente negli anni successivi al tracollo dell’impero ottomano, avvenuto nel 1918.


E fu proprio nel 1928 che Hassan al Banna, un insegnante  di Ismailia, cittadina sulle rive del Canale di Suez in Egitto, approfittò del fermento sociale e culturale del Paese per promuovere il recupero dei valori tradizionali dell’islam in opposizione al processo di occidentalizzazione che in quel periodo pareva dilagante. In un modo che sarà poi caratteristico di tutta la storia del movimento, Al Banna prese le mosse proprio dalle rivendicazioni dei lavoratori egiziani impegnati lungo il Canale per sostenere la superiorità dei valori islamici e la loro importanza per costruire una società basata sulla sobrietà dei costumi e sulla solidarietà tra le classi sociali.

Il movimento accrebbe rapidamente il proprio seguito, seguendo una duplice strategia: da un lato, la partecipazione alla vita politica, dall’altro l’attività di base, anche a sfondo sociale, coagulata intorno alle moschee. In pochi anni, le sue proposte per la rei-islamizzazione della società divennero un fattore di primaria importanza nel nascente movimento nazionalista egiziano che trovò poi compiuta espressione nella caduta della monarchia (1952), nell’ascesa al potere del generale Nasser (1954) e nella crisi del Canale di Suez (1956).

Fu proprio Nasser, però, una volta sicuro del proprio potere, a lanciare una vasta campagna di repressione contro i Fratelli Musulmani, che con il loro attaccamento ai dettami dell’islam si opponevano alla laicizzazione propugnata dal generale. Moltissime le vittime (secondo fonti vicine al movimento, almeno 10 mila), in due diverse fasi: nella seconda, seguita a un attentato fallito contro Nasser, fu impiccato anche Sayyid Qutb, uno dei massimi dirigenti del movimento e l’ispiratore delle sue posizioni più estremistiche.

La sconfitta dell’Egitto nella Guerra dei Sei Giorni contro Israele (1967) non solo indebolì il potere di Nasser ma favorì un rilancio dell’islam e dell’islamismo in tutto l’Egitto. Nello stesso tempo, il “corpo” centrale dei Fratelli Musulmani cominciò a prendere le distanze dalle idee di lotta armata dei seguaci di Qutb. Anwar al Sadat, succeduto a Nasser nel 1970, cercò di destreggiarsi tra due opposte esigenze: favorire i Fratelli musulmani (per bloccare  i movimenti studenteschi di sinistra e per frenare i residui movimenti panarabisti) senza dar loro troppo spazio. Una politica che, al contrario, finì per indebolire l’ala più “politica” del movimento a favore di quella terroristica che, nel 1981, metterà a segno un micidiale attentato contro Sadat.

L’ultimo Rais, Mubarak, come si è detto, nel 1984 legalizza l’attività politica dei Fratelli Musulmani, rendendo però loro impossibile qualunque possibilità di influire direttamente sulla situazione del Paese. Unita a una serie di repressioni mirate (tutti gli attuali leader del movimento, compreso il neo presidente Morsy, sono stati in prigione), tiene per anni a bada l’organizzazione, che lentamente rinasce però negli ultimi anni, approfittando di due fattori: il declino del regime di Mubarak e la politica più aggressiva degli Usa in Medio oriente, che fornisce un ottimo strumento di propaganda. Le rivolte che scuotono il Maghreb, dalla Tunisia alla Libia e appunto all’Egitto, forniscono l’occasione sperata per la decisiva scalata al potere.

 
 
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