«Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso?». Con questo e altri cinque interrogativi simili, sempre con lo stesso inizio, i vescovi italiani, nel Messaggio per la 45a Giornata nazionale per la vita (5 febbraio), ci invitano a riflettere sulla cultura di morte che sembra sempre più forte (dall’aborto all’eutanasia, passando per i femminicidi, i suicidi giovanili, l’abbandono dei migranti in mare e infine la guerra alle nostre porte di casa). E ricordano le ragioni cristiane che spingono all’impegno per una cultura della vita: «Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indica una strada diversa: dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita».
Egli «ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa». Constatando come «ai grandi progressi della scienza e della tecnica, che mettono in condizione di manipolare ed estinguere la vita in modo sempre più rapido e massivo, non corrisponda un’adeguata riflessione sul mistero del nascere e del morire, di cui non siamo evidentemente padroni», ci lasciano con una domanda che provoca: «Forse è perché abbiamo perduto la capacità di comprendere e fronteggiare il limite e il dolore che abitano l’esistenza, che crediamo di porvi rimedio attraverso la morte?». Alla «fiducia nella vita e nella sua bontà», che per i cristiani hanno radici nella fede, mi ha fatto pensare la storia di una famiglia che ho appena letto in un libro fresco di stampa, a firma di Gianni Varani: Il senso di Eva per la vita (San Paolo, euro 16).
Una storia di fede, di pazienza, di fiducia nella provvidenza, di amore aperto letteralmente a tutti, quella di Roberto Lappi e sua moglie Claudia e dei loro 8 figli, di cui una speciale, Eva, oggi 18enne, affetta da una malformazione rarissima, che comporta varie disabilità e che vive grazie a un respiratore e all’alimentazione artificiale. Roberto e Claudia hanno incrociato nel loro cammino testimoni di fede come don Dossetti e don Oreste Benzi, hanno incontrato la gioia ma anche il dolore, e vivono una storia di apertura alla vita a tutto campo: dall’accoglienza dei figli che Dio ha voluto donare alla coppia (nella foto), ai tanti volontari che li aiutano per garantire l’assistenza continua di cui Eva ha bisogno, alle tante persone (albanesi, rom, da disoccupati, prostitute…) che sono state ospiti della famiglia Lappi per poco o tanto tempo, trovando un focolare accogliente.
Anche Roberto e Claudia si sono chiesti a un certo punto “perché proprio a noi?” e sul loro cammino hanno talvolta trovato risposte inaspettate. Proprio per questo, la loro storia testimonia come la fede e l’amore, maturate nel crogiuolo della vita, possano dare un senso positivo all’esistenza e alla fatica di vivere che tutti attraversiamo. Il racconto irradia la gioia di una famiglia che trabocca di vita. E dice la possibilità di leggere diversamente la propria esperienza, come benedizione nonostante tutto. Tanta vita accolta, tanto amore moltiplicato. Una storia forse “straordinaria” (ma Roberto e Claudia non sarebbero d’accordo nel definirla così)… eppure vissuta nell’ordinario di giorni simili ai nostri, con le stesse preoccupazioni e difficoltà. Che ci ricorda un segreto semplice: tutti abbiamo la possibilità di uno “scatto in più” per far fiorire la vita in noi e intorno a noi. Sempre.