L’11 dicembre Gianni Morandi compie 80 anni. In quest’intervista dell'anno scorso, che ripubblichiamo integralmente, il cantante ripercorre la sua vita e la sua lunga carriera.
Si definisce «un uomo normale con una vita eccezionale». Un testimone che ha attraversato molti decenni «senza saper fare nulla di straordinario ma con un bel po’ di fortuna».
Gianni Morandi a 78 anni si stupisce ancora della sua vita, della carriera, degli incontri che ha fatto («Ho conosciuto tutti, dai Papi ai leader politici ai grandi artisti»). E non si ferma: un disco nuovo, Evviva!, uscito a marzo e un tour, Go Gianni Go!, al via il 6 luglio da Senigallia dove oltre ai classici del suo repertorio canterà i brani nati dal fortunato sodalizio artistico con Jovanotti con il quale si è piazzato al terzo posto al Festival di Sanremo dell'anno scorso.
È una star rassicurante e trasversale: piace a molti, da infinite generazioni, un po’ come la Coca-Cola, come ha scritto ironicamente qualcuno.
La sua storia è anche la storia d’Italia.
«L’ho attraversata ma non l’ho determinata. Non sono un autore, neanche un grandissimo interprete. Ma è andata comunque alla grande».
Non faccia il modesto.
«A maggio ero a Palazzo Madama per il concerto per i 75 anni del Senato e le prime parole che ho detto davanti a Mattarella è che quando è nato il Senato io c’ero già. Sono nato sotto le ultime bombe degli americani».
11 dicembre 1944, a Monghidoro, sull’Appennino tosco-emiliano.
«Mia mamma mi raccontava che quel giorno c’era una bufera di neve con il tetto di casa semisfondato dai bombardamenti e riparato con teli di fortuna. Un soldato americano le portò una coperta per scaldarmi e le chiese il mio nome. E lui intonò un motivetto: “Welcome, welcome little John in the smiling world…”».
Un segno del destino. Sergio Endrigo diceva che lei sorride anche da serio.
«Il sorriso è il modo migliore per presentarsi e farsi accogliere. Se sei in difficoltà è un passepartout. Quando ho una faccia seria la gente mi chiede se sto bene».
Ha un pubblico di tre generazioni. Che effetto le fa essere considerato uno di famiglia?
«Gli italiani sono abituati a vedermi dal 1962 quando sono andato per la prima volta in televisione a cantare Fatti mandare dalla mamma. Mi capita spesso di incontrare persone che mi dicono: “Quel giorno abbiamo preso un caffè in autostrada”, “Quel giorno sei venuto nel mio paese a cantare”, “Abbiamo fatto il servizio militare insieme”, “Mia figlia mi canta le tue canzoni”, “Mia mamma ti ha conosciuto a quel concerto”. Sono un po’ come un arredo di casa, qualcosa a cui le persone si sono abituate. Spero anche affezionate e non stufate, dopo tanti anni (ride, ndr)».
Come fa a essere così pieno di energia?
«Ho la fortuna di fare un mestiere che mi piace tantissimo e mi ha consentito di vivere tre o quattro vite in una. Siccome comincio ad avere una certa età e soprattutto, dopo l’ultimo Festival di Sanremo, ricevo una marea d’inviti, prendo appuntamenti anche a distanza di anni per esorcizzare il momento in cui dovrò per forza smettere. È una sorta di rito scaramantico per allungarmi la vita».
Gianni Morandi, 80 anni, a Palazzo Madama l'8 maggio scorso per il concerto per i 75 anni del Senato (Ansa)
Che infanzia è stata la sua?
«Mio padre Renato faceva il ciabattino ed era un comunista tutto d’un pezzo. Nel nostro palazzo c’era la sezione del Pci e di fronte la Madonnina con il lumino, stile don Camillo e Peppone. Noi abitavamo in tre stanze: in una camera dormivo io con mia sorella, nell’altra i miei genitori e nell’altra c’erano la cucina, il salotto e il tavolo di lavoro dove papà aggiustava le scarpe».
Le ha insegnato il mestiere?
«Sì anche se il mio compito principale era quello di lucidare le scarpe che dovevano brillare come uno specchio e sembrare nuove».
La passione per la musica da chi l’ha presa?
«Dai miei genitori. Papà quando batteva il cuoio prima di risuolare le scarpe cantava. Gli piaceva moltissimo Solo me ne vo per la città e le canzoni di Fred Buscaglione. Mamma faceva la lavandaia. Sistemava gli abiti usati che arrivavano dall’America e poi venivano venduti al mercato del venerdì. Anche lei era molto canterina, grandissima fan di Claudio Villa. E infatti il mio pezzo forte era la Romanina del Bajon che da bambino cantavo su uno sgabello nel salone di Lino Lanzoni, il barbiere di Monghidoro. Se l’avessi cantata anche al mio primo provino probabilmente non avrei mai fatto il cantante».
Perché?
«Nel 1958, grazie a Oliviero Alvoni, un funzionario del Pci amico di mio padre, mi presento dalla maestra Alda Scaglioni di Bologna. Quando arrivo la sua assistente Lina Bizzarri, cugina di Alvoni, mi chiede: “Allora, cosa canti?”. “La Romanina del Bajon”. Lei sobbalza: “Claudio Villa? Guarda che lo odia”. Improvvisai Volare di Domenico Modugno che aveva appena vinto Sanremo. Andò bene e mi richiamo per una piccola tournée estiva sulla Riviera romagnola. Ero felicissimo perché per la prima volta vedevo il mare. Niente soldi ma vitto e alloggio gratis. Papà prima di partire mi diede 500 lire per quattro mesi e mi disse: “Portami la lista di come li hai spesi”. Aveva la fissa delle liste».
In che senso?
«Quando leggevo un libro mi faceva fare la scheda con titolo, nome dell’autore e trama. Lo stesso con i film quando, nel 1956, avevo trovato lavoro al cinema di Monghidoro come venditore di caramelle e lupini salati. Idem con i luoghi. Ho segnato, ovviamente, quello del mio debutto in pubblico: Alfonsine di Ravenna, 20 aprile 1958. È lui che mi ha trasmesso l’abitudine di tenere un diario. Ogni sera, anche se vado a letto tardissimo, devo scrivere qualche riga su com’è andata la giornata. Spesso lo rileggo per vedere cosa ho fatto lo stesso giorno di cinquanta o trent’anni fa».
Suo padre le faceva leggere “cinque metri” dell’Unità. Che significa?
«Era la misura giusta stabilita dal suo senso del dovere politico ideale. Io mi sono fermato alla quinta elementare perché a Monghidoro non c’era la scuola media. Mio padre, che era responsabile della stampa e propaganda della sezione locale del Pci, mi aveva organizzato la giornata: la mattina andavo a fare la spesa e poi a bottega con lui. Ogni giorno mi faceva leggere alcune pagine del Capitale di Marx, senza che né io né lui capissimo molto in realtà, e vari giornali della sinistra, da Rinascita a Lotta. Secondo lui leggere ad alta voce mi abituava a parlare in pubblico e sostituiva la lezione d’italiano che avrei dovuto fare a scuola».
La incoraggiava per la sua carriera?
«Mi diceva sempre: “Metti i soldi da parte, anche per pagare le tasse, e aspettati il momento in cui le cose andranno male e finirà tutto”. In un certo senso mi aveva preparato alla crisi degli anni Settanta».
Morandi con Amadeus, 60 anni, durante l'ultima edizione del Festival di Sanremo (Ansa)
È vero che una volta il prete di Monghidoro, uno dei quattro comuni emiliani amministrati dalla Dc, la cacciò dalla processione del Venerdì Santo perché non andava a Messa ogni domenica?
«Sì, ero con il mio amico Remo Rocca, figlio del segretario del Msi. Con mio padre non andava molto d’accordo ma noi eravamo molto amici. Il don ci cacciò via entrambi perché facevamo caos».
Suo padre sarà stato contento.
«Alla processione mi ci aveva mandato mamma, papà non era d’accordo ma non si opponeva. La mia nonna paterna Maria tutte le mattine, inverno o estate, partiva dalla frazione vicina per partecipare alla Messa delle 7 nella chiesa di Monghidoro. Ogni giovedì mi portava a casa un libriccino di dottrina cristiana e mio padre lo faceva sparire. Poi diceva alla nonna: “Mamma, non dovete dare queste cose a Gianni”. “Ma non gli fa mica male”, rispondeva lei».
Lei crede?
«Sì. La mamma e la nonna mi hanno trasmesso la fede e mi hanno fatto fare il Battesimo, la Comunione e la Cresima. Le rivelo una cosa».
Dica.
«Se dovessi trovarmi in difficoltà o avere momenti di crisi la prima persona che andrei a cercare sarebbe il cardinale Zuppi (arcivescovo di Bologna, ndr). Don Matteo è un uomo straordinario, un prete illuminato capace di stare in mezzo alla gente».
Vi sentite spesso?
«Ogni tanto ci scambiamo messaggi, c’è un rapporto di grande affetto. Nel 2018 ha portato me e Francesco Guccini da papa Francesco insieme a tutti i fedeli emiliani. Guccini si è messo a parlare in spagnolo con il Pontefice. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, ho partecipato alla manifestazione in piazza Maggiore a Bologna. C’era anche Elly Schlein. Zuppi mi invitò e mi disse di portare la chitarra. Cantammo insieme Un mondo d’amore e, ovviamente, C’era un ragazzo».
Morandi al Festival del Cinema di Venezia del 2021 con la moglie Anna Dan, 65 anni, conosciuta nel 1992 e sposata nel 2004 (Ansa)
Scritta da Franco Migliacci, un grande classico.
«I miei discografici non volevano farmela cantare perché dicevano che non c’entrava nulla con il mio repertorio: “Tu sei quello della Fisarmonica, In ginocchio da te. Non puoi fare una canzone di protesta contro la guerra”. Io dopo averla ascoltata rimasi folgorato e mi impuntai: “Questa è mia”. Alla fine ottenni di cantarla con Mauro Lusini. Nel 1966 ci presentammo in coppia al Festival delle rose all’Hilton di Roma. Quando alla Rai lessero il testo, sobbalzarono e mi dissero che non potevo dire le parole “Vietnam” e sostituire “adesso è morto” con il ritornello "tatatata". Io me ne fregai e la cantai. Apriti cielo. In Parlamento furono presentate diverse interrogazioni parlamentari perché l’Italia andava contro un Paese alleato. La canzone schizzò prima in classifica nella hit parade ma non poteva essere trasmessa in radio».
Oggi che significato ha questa canzone?
«Non è mai passata di moda, è sempre attuale perché c’è sempre un Vietnam. Nel 1981, quando c’era ancora Breznev, andai a Mosca perché un’associazione pacifista voleva premiarmi per questo brano antimilitarista che condannava l’invasione americana. La situazione si è rivoltata e oggi quel testo è contro di loro che sono il Paese aggressore».
Le hanno mai proposto di entrare in politica?
«Spesso. Il Pci nei primi anni Novanta aveva lo slogan già pronto: “Da 30 anni è una faccia pulita”».
Oggi al vertice della politica italiana ci sono due donne: Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Cosa ne pensa?
«È un bel salto di qualità. La parità nel lavoro, negli stipendi, nei ruoli di potere non c’è mai stata. Mi sembrano due persone di grande capacità e spessore. Mi fido molto delle donne in politica, mi sembrano più serie e affidabili e anche meno corruttibili degli uomini».
Se non avesse fatto il cantante che mestiere avrebbe fatto?
«Il venditore porta a porta di pentole o di cravatte perché mi piaceva il fatto che andassero sempre in giro e il mio sogno, da ragazzo, era scappare da Monghidoro e viaggiare il più possibile per conoscere l’Italia. Adesso l’ho girata così tanto che conosco a memoria i 553 chilometri dell’Autostrada del Sole. Sulla Bologna – Firenze, per dire, ho visto piantare gli alberi che ora sono diventati altissimi. Una sera avevo finito di fare una serata a San Giovanni Valdarno, vicino Arezzo, e stavano per aprire il tratto di autostrada che arrivava a Roma. Io ero incuriosito e con Romano, mio storico collaboratore, ci mettiamo in macchina nel tratto ancora chiuso. Non c’erano cartelli e non erano segnalate le uscite. Dopo 150 km arriviamo a Magliano Sabina e c’erano le transenne. Ci perdemmo. Alla fine trovammo un’uscita e tornammo indietro».
Dopo il boom da ragazzino, negli anni Settanta la sua carriera sembrava finita.
«Ne approfittai per studiare. Presi la terza media ed entrai in Conservatorio per studiare canto, solfeggio e storia della musica».
Come torna in pista?
«Un giorno mi chiama Mogol che aveva appena terminato la sua collaborazione con Lucio Battisti: “Gianni, ma tu giochi a pallone?”. “Sì, in terza categoria”. “Vorrei fare la nazionale cantanti e mi mancano il portiere e un paio di centrocampisti”. Iniziamo a frequentarci ma senza parlare mai di musica. Io ero uscito dal giro, in Tv non mi chiamava più nessuno. Dopo sei mesi, Mogol mi fa: “Ma tu non canti più? Come fai a giocare in squadra?”. Nacque così nel 1981 Canzoni stonate con cui ho ricominciato la carriera e sono tornato in classifica. Dopo tanto tempo si rifà vivo anche Franco Migliacci che scrisse per me Uno su mille, un brano autobiografico che segnò il mio rilancio definitivo».
Ha rimpianti?
«Come faccio ad averne?».
Morandi con papa Francesco, 87 anni, Francesco Guccini, 83, e l'arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, 68, durante l'incontro in Vaticano nel 2018 (Vatican Media)