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Giorgio Ambrosoli, la storia vera

18/12/2019  Chi era Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese cui è dedicato il film Qualunque cosa succeda

Giorgio Ambrosoli sapeva che toccando il fili del fallimento della Banca Privata Italiana c’era il rischio di saltare in aria. “Qualunque cosa succeda” non è solo il titolo di un bellissimo libro scritto da suo figlio Umberto nel 2009, è il succo di una lettera trovata tra le sue carte, indirizzata alla moglie Anna Lorenza Gorla, per tutti Annalori: il documento della sua lucida, feroce, eroica consapevolezza. (Il testo integrale nel video qui sotto, tratto dalla fiction “Qualunque cosa succeda” ispirata al libro omonimo e uscita su Raiuno nel dicembre 2014).

La lettera è un testamento spirituale, scritto il 25 febbraio del 1975, quando da meno di un anno Giorgio Ambrosoli, 40 anni, avvocato, esperto di diritto fallimentare, ha ricevuto da Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia, l’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, facente capo a Michele Sindona. Annalori trova il documento tra le carte del marito, poco dopo che è stato scritto. Ha l’istinto di andare dal Governatore della banca d’Italia, di chiedere di revocare quell’incarico di cui ora conosce a fondo i rischi, per riprendersi la serenità della sua famiglia, ma sa che se lo facesse sarebbe un tradimento dei valori cui la lettera fa riferimento, e prima ancora un tradimento a Giorgio. La legge, se la chiude dentro il cuore, e la rimette dove la ha trovata.

Ambrosoli ha il compito di esaminare la periclitante situazione economica della banca, capisce che le opacità sono più delle trasparenze, che nei conti ci sono pesanti irregolarità, che i libri contabili presentano doppi fondi: operazioni complesse, non tutte alla luce del sole, in parte regolari, in parte servite a nascondere l’ingresso nelle società finanziarie di Sindona degli investimenti di John Gambino, boss della Cosa nostra americana. Nel complesso, una colossale attività di riciclaggio per ripulire capitali sporchi.

Ambrosoli trova ostacoli e minacce ma non molla, fa il suo lavoro, con scienza, coscienza e schiena dritta, conclude il processo di liquidazione, non cede alle pressioni e impedisce il salvataggio della banca fortemente compromessa nell’intreccio tra mafia, politica e finanza e fa il possibile per tutelare la parte debole dei risparmiatori e per agire con senso dello Stato. Sa di essere sempre più solo ma ha dalla sua il maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre (scomparso nel settembre 2019), integerrimo come lui, che lo aiuta e lo segue come un’ombra.

Ambrosoli va avanti, spera che le minacce alla fine non si concretizzeranno, che lo tutelerà la certezza che, se gli capitasse qualcosa di male, quel male porterebbe una firma troppo facilmente identificabile. Ma conosce i rischi e quella lettera, che è un testamento per la moglie e un insegnamento a vita per i suoi tre figli, ne è la prova. Anche se non la consegna la scrive, dimostrando di sapere. Tutto precipita mentre si avvicina il12 luglio 1979, giorno in cui Ambrosoli dovrebbe sottoscrivere una dichiarazione formale in cui conferma la necessità di liquidare la banca, attribuendo la responsabilità della bancarotta a Michele Sindona. A quel giorno Ambrosoli non arriva, le previsioni più fosche di quella lettera scritta quattro anni prima si realizzano la sera dell’11 luglio del 1975. Giorgio Ambrosoli ha trascorso la serata a casa con amici, assistendo in Tv a un incontro di boxe. Al termine della serata ne accompagna alcuni a casa in macchina, quando rientra e sta per parcheggiare sotto casa, in via Morozzo della Rocca a Milano, gli si avvicina un uomo e gli domanda «Il signor Ambrosoli?». «Sì». «Mi scusi signor Ambrosoli» e gli esplode contro i quattro colpi di pistola che lo uccideranno.

L’uomo che lo avvicina è un sicario di professione italo-americano, William J. Aricò, assoldato, per 25.000 dollari più altri 90.000 accreditati sul conto di una banca svizzera, da Michele Sindona per uccidere l’uomo che passerà alla storia, grazie a un titolo di Corrado Stajano, come "l’eroe borghese". A dispetto del fatto che colui che diventa a un certo punto il nemico pubblico di Sindona venga dipinto dai suoi detrattori che ne mal sopportano la rettitudine come «l’amico dei comunisti», Giorgio Ambrosoli è un cristiano, fedele al cattolicesimo, discendente di una famiglia monarchica di cui condivide le idee. Ambrosoli muore nell’ambulanza che lo sta portando in ospedale. Lascia Annalori e tre figli giovanissimi Francesca (11 anni), Filippo (10) e Umberto (8). Al suo funerale c'è Paolo Baffi, subentrato nel 1975 a Carli come governatore della Banca d’Italia, nessun esponente del Governo, nessuna autorità pubblica.

Michele Sindona viene arrestato nel 1980 negli Stati Uniti, l’Italia ne chiede l’estradizione per poterlo processare per l’omicidio Ambrosoli, per cui il 18 marzo 1986 viene condannato all’ergastolo. Muore, seppellendo i suoi segreti, due giorni dopo nel carcere di Voghera, avvelenato da un caffè corretto a cianuro di potassio destinato a restare un mistero italiano.

Ogni anno a Milano dal 2009 l’Associazione civile Giorgio Ambrosoli, animata tra gli altri da Annalori, Francesca e Umberto Ambrosoli, organizza a fine novembre il Concerto per la virtù civile, ogni anno dedicato al ricordo di un cittadino italiano che ha difeso la libertà di tutti, per onorare la memoria del padre e di Filippo, il secondogenito di Giorgio e Annalori, prematuramente scomparso proprio nel 2009. Dal 2011 il concerto si è tramutato in Giornata della virtù civile, rivolta alle scuole, coinvolte in un progetto e in un concorso dedicati al tema ogni anno stabilito, nella speranza di far crescere e diffondere la sensibilità per l’etica pubblica e il senso dello Stato.

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