«Ciascuno deve fare la propria parte per rilanciare la speranza nel Paese». Giuseppe Notarstefano (in alto a sinistra, ndr), siciliano, vicepresidente nazionale di Azione cattolica e docente di Scienze economiche, aziendali e statistiche all’Università di Palermo, fa parte del Comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici italiani, giunte alla 48ª edizione a Cagliari.
Il tema di questa edizione è Il lavoro che vogliamo, che viene definito «libero, creativo, partecipativo, solidale». In questo momento storico, quale significato assume questo titolo?
«Il desiderio è quello di mettere al centro un tema che si qualifica per la sua urgenza, cruciale non solo per la vita economica e la realtà produttiva del Paese, ma per la vita sociale, perché il lavoro è il luogo dove le persone si realizzano. Vogliamo rilanciarlo in una duplice prospettiva. Ci interessa dare voce alle sofferenze di chi questo lavoro non ce l’ha, lo ha perso anche in seguito alle trasformazioni tecnologiche e allo spiazzamento che in molte aree produttive si registra davanti alla quarta rivoluzione industriale. Si tratta di passaggi drammatici, perché riguardano le persone e chiedono un supplemento di intelligenza e di visione da parte della politica. Bisogna ripensare a delle modalità non solo di tutela, ma anche di convenienze, bisogna agire attraverso la leva fiscale affinché il lavoro venga premiato, non sia solo un costo per l’imprenditore, ma un investimento. L’altra questione è recuperare il senso del lavorare, che per il credente è la modalità con cui l’uomo partecipa alla creazione, realizza se stesso. Questo ci ha insegnato il pensiero della dottrina sociale della Chiesa. Non possiamo pensare al lavoro soltanto come occupazione, ma anche come luogo dove gli uomini realizzano i propri talenti, il proprio genio, la propria creatività, costituiscono insieme agli altri le condizioni di vita. Allora bisogna pensare a come riscoprire tutti i tipi di lavoro, non solo quello retribuito, ma anche quello di cura, che spesso non viene riconosciuto».
Nel lavoro di preparazione avete analizzato gli aspetti problematici. Cosa è venuto fuori?
«Abbiamo voluto scegliere come approccio metodologico diversi registri comunicativi, innanzitutto partire dai volti, dalle persone. Non vorremmo fare un convegno, ma far parlare le persone che ci restituiscono le loro storie, con tutta la loro complessità. Le Settimane sociali devono essere questo, un grande incontro in cui le persone condividono e trovano il modo per elaborare una proposta. Un altro registro è la denuncia, che significa dare voce a chi non ha voce. Ci sarà una mostra della fondazione Sussidiarietà che racconterà alcune storie sullo sfruttamento del lavoro, attraverso il caporalato che non è solo nel Sud, in Puglia, ma anche nelle colline del Monferrato. E poi tante forme di sfruttamento moderno, di giovani e donne nei call center, laddove si organizzano turni di lavoro massacranti, con il rischio che poi vogliano pure delocalizzare, come se le persone fossero armadi da spostare. Oggi la questione del lavoro reso precario si ripercuote sulla vita delle persone. Altro elemento importante è la responsabilità sociale degli imprenditori, sia come tutela ambientale sia come organizzazione del lavoro. Poi c’è il divario fra nord e sud, una delle cause della vasta mobilità dei giovani costretti a partire; si tratta di una scelta obbligata, non solo per i non qualificati, ma anche per chi ha investito in un percorso di studi».
I cristiani sono uomini di speranza e, dunque, cercano le buone prassi da cui partire per poter realizzare un effetto domino. Cosa avete scovato?
«Io ho seguito proprio questo percorso, perché la prima rivoluzione si ha nello sguardo, nella modalità di narrare i fenomeni. Ci siamo messi alla scuola della realtà, con sguardo umile, utilizzando delle reti, Policoro, Confcooperative, Anci, Laboratori di nuova economia, soggetti del mondo laico e cattolico. Questi sono stati i nostri “cercatori di LavOro”, di casi riusciti di organizzazione aziendale che mette al centro il lavoro e mette in moto un meccanismo virtuoso di creazione di valore economico, sociale e ambientale insieme. Abbiamo visto varie realtà piccole, che lavorano nell’agricoltura solidale, nel recupero dell’artigianato locale, facendolo in maniera intelligente, recuperando saperi e spazi attraverso nuove tecnologie».
Può fare alcuni esempi?
«Penso a VaZapp in Puglia, che aiuta i contadini a risolvere problemi agricoli e a rilanciare prodotti. Un’altra storia interessante nasce dal Progetto Policoro nella Locride come sfida della legalità, per liberare quel territorio dallo sfruttamento: un gruppo di giovani chiamato Goel ha cominciato a lavorare con i produttori di arance che venivano sfruttati da intermediari mafiosi. È stato costituito un consorzio che produce arance e le vende anche all’estero. La criminalità dà filo da torcere, ma ogni volta che vengono colpiti, loro festeggiano la “ripartenza”. L’obiettivo è fare massa critica insieme, rafforzare legalità e socialità. Ma ci sono anche grandi imprese, come il gruppo Loccioni che si occupa di alta tecnologia, dove si incrociano ricerca e progettazione, e opera nel Marchigiano. Ha scommesso sui giovani, creando un ambiente di lavoro creativo e di scambio. Alcune di queste buone pratiche sono state inserite nel docufilm Il lavoro che vogliamo, che sarà presentato alle Settimane sociali e al Festival del cinema di Roma».
Quali proposte presenterete alla politica?
«Nel documento di lavoro della Settimana abbiamo fatto alcune proposte che nascono dal confronto con le parti sociali, ma soprattutto da una consultazione attraverso più di cinquecento interviste. Abbiamo ipotizzato alcuni suggerimenti, ma anche alcuni impegni che vogliamo prendere come Chiesa, perché non si tratti solo di una lista della spesa per la politica. Anche noi ci impegniamo come Chiesa, finalizzando alcune risorse alla creazione del lavoro, all’investimento sulla formazione professionale. Ci saranno diversi tavoli tematici, da cui nasceranno proposte concrete da portare ai massimi rappresentanti della politica nazionale ma anche a livello europeo. Noi ci siamo messi in moto, ognuno ha qualcosa da fare: abbiamo il compito di restituire una speranza. La politica può facilitare, incentivare, rimuovere ostacoli burocratici e amministrativi. Poi la risposta è corale».