Cari amici lettori, confesso che quando guardo gli atleti olimpionici competere nelle rispettive discipline per vincere, provo, come immagino anche voi, una grande ammirazione, ma non posso fare a meno di pensare anche alla grande preparazione, alla disciplina, al sacrificio a cui si sono sottoposti (oltre agli allenamenti, pensiamo solo alla loro alimentazione controllatissima!). E questo non per costrizione, ma liberamente. Anzi, per una grande passione, per un obiettivo da raggiungere: primeggiare, vincere, superando fatiche e ostacoli.
Possiamo imparare, come cristiani, qualcosa da tutto questo? San Paolo, un cristiano “di punta” dei primi tempi, un “entusiasta” di Cristo, l’ha fatto e si è lasciato ispirare proprio dalle gare allo stadio (forse i giochi istmici di Corinto?) per parlare della vita cristiana in termini “atletici”: «Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato» (1Corinzi 9,24-27).
L’apostolo cantore della grazia non intende certo invitare a un “volontarismo” dove tutto è frutto dello sforzo dell’uomo, ma certamente per lui essere cristiani, seguire Cristo, comporta anche l’impegno per un obiettivo, la passione, la disciplina propria degli atleti. Insomma, non tutto “viene da sé” ma bisogna fare la propria parte, attivamente. Anche in riferimento alla sua esperienza personale di vita cristiana, san Paolo usa il linguaggio dell’atletica: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Filippesi 3,13-14); «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (2Timoteo 4,7-8).
Tante volte forse il nostro essere cristiani è caratterizzato da un passo pigro, se non dallo “stare in panchina” inerti. Tanti possono essere i motivi, ma dovremmo chiederci perché. Si dice che la cultura di oggi evita il sacrificio, la disciplina, il dominio di sé… Ma gli atleti olimpionici, di oggi come di ieri, smentiscono questa visione, e anche a un livello più “ordinario” vediamo che sono tanti gli ambiti – dal lavoro agli hobby o interessi vari – in cui le persone mettono dedizione, energia, impegno, perché hanno una motivazione e aspirano a mete alte.
Abbiamo forse bisogno di risvegliare in noi questa passione per il Signore, la sola cosa che può spingerci alla “corsa”. Forse ci manca questo slancio perché abbiamo smarrito quel senso di gioia e di stupore della parabola evangelica del mercante che si imbatte nella perla preziosa. L’augurio che ci facciamo è di poter ritrovare questa passione e ripartire con entusiasmo nella “corsa” dello spirito.