(Foto Reuters/Daniele Mascolo: i medici e infermieri cubani in arrivo all'aeroporto di Malpensa il 22 marzo)
Fídel Castro li aveva chiamati el ejercito de las batas blancas, l’esercito dei camici bianchi. Sono i medici e gli infermieri cubani impegnati in missioni internazionali. Cinquantadue di loro sono arrivati ieri all’aeroporto di Malpensa per dare supporto all’ospedale da campo di Crema. Specializzata nel trattamento delle malattie infettive, la brigata cubana è preparata ad affrontare e gestire situazioni di emergenza sanitaria, come oggi è la pandemia del coronavirus. Nel team - composto tutto da uomini - ci sono trenta medici che hanno già operato nel 2014 in Africa occidentale, per combattere contro l’epidemia di ebola. Allora, più di 460 professionisti medico-sanitari cubani sono stati inviati in Guinea, Sierra Leone e Liberia, una parte dei quali ha operato direttamente per l’Organizzazione mondiale della sanità.
Negli anni in cui, sotto il potere del líder maximo, tanti cubani cercavano di scappare dall’isola, i medici hanno oltrepassato i confini e sono andati in giro per il mondo, nei Paesi dove era necessario rispondere a un’emergenza, una catastrofe umanitaria. Nel 1998 hanno assistito i Paesi centroamericani e caraibici colpiti dagli uragani. Nel 2019 hanno allestito un ospedale da campo in Mozambico, devastato dal ciclone Idai.
Insieme al turismo, l’esportazione delle risorse medico-sanitarie è uno dei capisaldi dell’economia di Cuba, irrinunciabile fonte di reddito. Tra il 2011 e il 2015, secondo i dati del ministero dell’Economia dell’Avana, i servizi medico-sanitari all’estero hanno portato alle casse dell’isola più di 11 milioni di dollari. Così, nel corso degli anni, le missioni mediche sono diventate un’enorme risorsa economica, che ha contribuito largamente a sostenere l’efficiente sistema sanitario gratuito cubano così come il sistema dell’istruzione pubblica.
E’ il grande paradosso del Paese socialista: da un lato la povertà largamente diffusa tra la popolazione, dall’altro un sistema sanitario molto avanzato, riconosciuto in tutto il mondo. Un paio di anni fa, all’Avana, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus ha elogiato la sanità cubana affermando: «Non posso che ringraziare Cuba per il suo sistema sanitario modello, che si colloca tra i migliori al mondo. Un sistema che conta su un grande impegno nelle campagne di vaccinazioni, nell’assistenza all’infanzia, nell’elevata aspettativa di vita. Indicatori che certamente distaccano Cuba dal resto dei Paesi dell’America centrale e latina».
Nei giorni scorsi una brigata di 130 medici e infermieri è arrivata in Venezuela, per aiutare il Paese, già martoriato da anni da una profonda crisi economica e istituzionale, a far fronte all’epidemia del Covid-19. L’impegno di Cuba in Venezuela è prioritario: Caracas è strettamente legata all’Avana e l’isola caraibica dipende dall’esportazione del petrolio venezuelano. Altre équipe sono arrivate nei Paesi centroamericani come Nicaragua e Giamaica.
La prima brigata cubana partì in missione nel 1963, in Algeria. Attualmente più di 30mila professionisti medico-sanitari cubani stanno prestando servizio in missioni internazionali, dispiegati in più di sessanta Paesi, per la maggior parte in America latina e Africa. Attraverso il Programma integrale di sanità, Cuba promuove servizi sanitari gratuiti in 27 tra i Paesi più poveri e marginali, come Haiti, Honduras, El Salvador, Repubblica democratica del Congo, Etiopia.
A Cuba finora sono stati registrati 21 casi accertati di contagio e una vittima: un turista italiano di 61 anni. Come misura di prevenzione, il Governo ha deciso di chiudere le frontiere agli stranieri, lasciando la possibilità di rientro solo a cittadini cubani e residenti.