Cari amici lettori, la Messa domenicale è per molti fedeli – e questa non è una novità – motivo di lamentela: celebrazioni lunghe, omelie noiose e astratte, sacerdoti sciatti, e via dicendo. Proprio in questi giorni, il 29 giugno, è uscita la Lettera apostolica di papa Francesco intitolata Desiderio desideravi, «sulla formazione liturgica del popolo di Dio». Ne troverete una presentazione più dettagliata alle pagine 10-13.
Qui desidero solo condividere alcune riflessioni in merito. L’Eucaristia domenicale rappresenta per molti l’unico momento settimanale di incontro sacramentale con Cristo, l’occasione pressoché esclusiva di ascolto della Parola di Dio e di un suo commento. E le lamentele sopra citate, lette da un’altra prospettiva, dicono il desiderio di incontro con il Signore, l’attesa spirituale, la “fame” che c’è in tante persone e che aspetta di essere colmata. È un aspetto da non trascurare: per la stragrande maggioranza dei cristiani – e a ragione – l’Eucaristia è la “scuola di vita cristiana” per eccellenza, suo «fonte e culmine», come si esprime il Concilio. E nonostante il calo di frequenza per la pandemia, rimane l’“assemblea” cristiana più frequentata. Papa Francesco sottolinea a più riprese il “desiderio” di Dio, che precede il nostro, di poter mangiare con noi la sua Pasqua (le parole del Vangelo di Luca che danno titolo alla Lettera).
E ancora parla di «frequentazione assidua del fuoco di amore che il Signore è venuto a portare sulla terra», di «oceano di grazia che inonda ogni celebrazione», da cui la dimensione dello stupore come parte essenziale dell’atto liturgico. Riscoprire la dimensione teologica (e contemplativa) che sta alla base della Messa è fondamentale per entrare e apprezzarne la grandezza. Il Pontefice ci ricorda anche la gratuità di questo straordinario dono («A quella Cena nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati») e che non dovremmo dormire sonni tranquilli «sapendo che ancora non tutti hanno ricevuto l’invito alla Cena o che altri lo hanno dimenticato o smarrito nei sentieri contorti della vita degli uomini» (n. 4). Ma se certamente è Dio ad “agire” nella liturgia, è altrettanto vero che l’atteggiamento umano – da chi presiede la celebrazione o vi svolge qualche compito a chi “semplicemente” partecipa (ma non è questa la cosa essenziale?) – non è indifferente. La cura, l’amore, ma anche la “naturalezza” e semplicità con cui si prepara e si celebra la liturgia sono elementi fondamentali che permettono a chi vi partecipa di godere della bellezza di Dio che si rende presente attraverso i segni sacramentali.
Questo richiede una sapiente “regia” – senza manie ma anche senza sciatteria – di ogni aspetto della celebrazione, perché tutto in essa ha senso. Un’ultima sottolineatura: papa Francesco ricorda la “circolarità” tra celebrazione e vita. La celebrazione ci “evangelizza”, perché è incontro con il Cristo risorto, ma diventa autentica quando ci apre alla testimonianza della carità (n. 37). Un bel programma, quello affidatoci dal Papa, che ci invita a riscoprire la Liturgia. Una meditazione attenta della Lettera, una vera sintesi sul senso dell’Eucaristia, sarebbe un ottimo inizio. Non per niente il concilio Vaticano II ha emanato come primo documento quello sulla liturgia: è lì, nelle sue profondità, che si radica la vita della Chiesa, che cammina sulle orme di Cristo, luce delle genti (Lumen gentium) per aprirsi alla realtà, alle gioie e alle sofferenze del mondo (Gaudium et spes). E, si sa, senza radici una pianta non va lontano.