Marco Bruniera, dirigente della storica (è stata fondata nel 1868) Sezione di Treviso del Tiro a segno nazionale, a differenza di altri colleghi non si sottrae alle nostre domande, ma ci tiene a fare una premessa: «Noi siamo degli sportivi che usano le armi solo per bucare la carta. E siamo orgogliosi dei nostri successi a livello nazionale e internazionale. Non ci stiamo a essere strumentalizzati».
D’accordo. Ma c’è stato anche da voi un boom di iscritti?
«Solo nel 2015, perché la Questura ha deciso una revisione di tutte le licenze. L’anno scorso il numero è tornato stabile».
Oggi potete controllare che chi si iscrive da voi poi effettivamente esercita l’attività sportiva?
«È impossibile. Noi rilasciamo il certificato di idoneità al maneggio delle armi. Come facciamo poi a verificare che chi lo detiene lo usi per fare tiro al piattello, tiro dinamico o per andare a caccia? Oppure che non lo usi affatto a fini sportivi? Le uniche banche dati affidabili sono quelle delle Questure».
Ma non crede che ci vorrebbe una legislazione più restrittiva per concedere la licenza a uso sportivo, almeno per limitare il numero delle armi che si possono detenere?
«Non credo che ci sia un legame tra il numero d’armi e il loro uso a fini violenti. Io posso avere in casa cento pistole e poi uscire con un coltello e fare una strage».
Lo showman Francesco Facchinetti, dopo che il padre ha subìto un furto in casa, ha dichiarato: «Sto andando a comprarmi un arsenale, se qualcuno entra in casa mia con i miei figli non esce vivo!». Lei che ne pensa?
«Sono affari suoi. Per quanto mi riguarda, io non sono nemmeno un cacciatore. E in caso di furto, preferirei avere sul mio comodino un mattarello piuttosto che una pistola».