Papa Francesco, in questa seconda domenica di luglio in cui ricorre la Giornata Internazionale del Mare, rivolge «un affettuoso saluto a tutti coloro che lavorano sul mare, specialmente quelli che sono lontani dai loro cari e dal loro Paese», ricorda quanti si sono riuniti nel porto di Civitavecchia-Tarquinia per la celebrazione eucaristica e poi si ferma un attimo. «Il mare», dice con voce contrita, «mi porta un po’ lontano. Il pensiero va Istanbul. Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato».
Bergoglio poi saluta e ringrazia tutti coloro che sono stati e stanno accanto ai malati in questo periodo di pandemia e li incoraggia a continuare il loro impegno.
Prima dell’Angelus aveva ricordato la parabola del seminatore tornando su uno dei suoi consigli più cari: quello di tenere sempre con sé un piccolo Vangelo, di leggerlo spesso, anche solo un pezzetto per volta in modo da meditare la Parola di Dio, accogliere quel seme e farlo germogliare in se stessi preparando una buona terra.
Quella che il Papa definisce «la madre di tutte le parabole» ci insegna che «la Parola di Dio, simboleggiata dai semi, non è una Parola astratta, ma è Cristo stesso, il Verbo del Padre che si è incarnato nel grembo di Maria. Pertanto, accogliere la Parola di Dio vuol dire accogliere la persona del Cristo». Ma, spiega il Pontefice, ci sono «diversi modi di ricevere la Parola di Dio. Possiamo farlo come una strada, dove subito vengono gli uccelli e mangiano i semi. È la distrazione, un grande pericolo del nostro tempo. Assillati da tante chiacchiere, da tante ideologie, dalle continue possibilità di distrarsi dentro e fuori casa, si può perdere il gusto del silenzio, del raccoglimento, del dialogo con il Signore, tanto da rischiare di perdere la fede». O, ancora, «possiamo accogliere la Parola di Dio come un terreno sassoso, con poca terra. Lì il seme germoglia presto, ma presto pure si secca, perché non riesce a mettere radici in profondità. È l’immagine dell’entusiasmo momentaneo che però rimane superficiale, non assimila la Parola di Dio. E così, davanti alla prima difficoltà, a una sofferenza, a un turbamento della vita, quella fede ancora debole si dissolve, come si secca il seme che cade in mezzo alle pietre».
C’è poi il terreno spinoso, «e le spine sono l’inganno della ricchezza, del successo, delle preoccupazioni mondane... Lì la Parola rimane soffocata e non porta frutto». Infine, invece, «possiamo accoglierla come il terreno buono. Qui, e soltanto qui il seme attecchisce e porta frutto. La semente caduta su questo terreno fertile rappresenta coloro che ascoltano la Parola, la accolgono, la custodiscono nel cuore e la mettono in pratica nella vita di ogni giorno».
Dio sparge la sua Parola ovunque, «con generosità, senza badare a sprechi. Così è il cuore di Dio! Ognuno di noi è un terreno su cui cade il seme della Parola, nessuno è escluso.
Possiamo chiederci: che tipo di terreno sono? Assomiglio alla strada, alla terra sassosa, al roveto? Se vogliamo, con la grazia di Dio possiamo diventare terreno buono, dissodato e coltivato con cura, per far maturare il seme della Parola. Esso è già presente nel nostro cuore, ma il farlo fruttificare dipende da noi, dipende dall’accoglienza che riserviamo a questo seme».