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martedì 22 aprile 2025
 
 

Le mamme: «Il maggior pericolo della disabilità è la solitudine»

02/12/2013  Dal rapporto Unicef emerge che “i bambini disabili sono i più emarginati al mondo”. Ne parliamo con alcune mamme che, per trovare un aiuto e la soluzione ai quesiti giornalieri della loro esperienza, si sono rivolte all’associazione L’Abilità, una onlus nata a Milano dall’iniziativa di un gruppo di genitori di bambini con disabilità e di operatori.

Veronica Ghiringhelli è mamma di Leonardo, 10 anni, disabile grave. Lui ha una problematica cerebrale e una emiplegia che lo costringe alla carrozzina. «I più deboli sono i più emarginati e i disabili sono i più deboli tra i deboli. Anche se, a livello di normativa, non ci sono problemi ma questi si pongono con alcune persone che ricoprono determinati ruoli. A me è capitato con la scuola di zona dove i dirigenti si stupivano che io volessi portare mio figlio in una scuola “normale”. Poi ci sono i problemi relazionali; finché sono piccoli i bambini sono anche simpatici, spontanei: più di una volta, anni addietro, è capitato che altri coetanei di Leonardo si avvicinassero a vedere cos’era quella “specie” di bambino. Lì sta molto all’adulto, c’erano genitori che li portavano via velocemente e altri, invece, ed è questo l’atteggiamento che aiuta, che si sedevano vicino e vivevano l’incontro mediando il rapporto tra lui e loro figlio. Crescendo tutto si complica e avvicinarsi alla disabilità resta e diventa sempre più difficile. In spiaggia, per esempio, si accentua la repulsione se hai necessità di cambiarlo sotto l’ombrellone; così sei costretta a portarlo altrove e cercare ogni volta una situazione idonea e appartata. Lo sguardo e la pazienza di chi ti sta intorno, poi, cambiano completamente; da un bimbo più piccolo accetti tutto meglio, anche le grida. Il problema relazionale, però, non si pone solo con Leonardo ma anche con chi gli sta intorno. Penso a Gabriele, fratello minore di 7 anni. Una volta a settimana lui si trova e incontra bambini fratelli di disabili che vivono la stessa situazione. Questo perché un domani possa ritrovare reti affettive. In una famiglia dove c’è questo problema vanno seguiti tutti, non solo il disabile. A partire dai genitori. Per noi trovare l’associazione L’abilità è stato un miracolo, ci ha salvato la vita e permesso di non chiuderci nella deriva più pericolosa e frequente della malattia che è la solitudine. Una solitudine profonda».

Piera Tula è mamma di Elisa, 3 anni. Un’asfissia al momento del parto e oggi ha una tetraparesi spastica. Quindi difficoltà di movimento a tutti e quattro gli arti, problemi di vista, a parlare, con la gestione del cibo in bocca e a deglutire. Dove gli arti superiori sono più compromessi di quelli inferiori motivo per cui non riesce ad afferrare le cose, così come non sta seduta da sola perché non controlla il tronco. Dal punto di vista cognitivo sembrerebbe, però, una bimba presente, con un lieve ritardo perché per sei mesi ha soprattutto pianto per effetto del trauma. Un ritardo che sta recuperando, capisce tutto, anche le cose astratte e dimostra un buon potenziale. Per lei non è ancora il tempo dei problemi relazionali ma di ostacoli la madre ne incontra tutti i giorni. «Ci vuole tutta un’organizzazione particolare intorno a questi bambini che gli altri non hanno. Da un punto di vista della struttura medica riabilitativa siamo seguiti dalla don Gnocchi e dall’Ospedale Mangiagalli e siamo felici, siamo stati fortunati e l’essere a Milano aiuta. Per il resto i problemi ci sono su tutti i fronti. Per esempio la scuola: all’inizio abbiamo pensato ad un asilo privato e convenzionato vicino a casa ma se l’avessi iscritta lì, mi hanno detto, non avrei avuto garanzia per l’insegnante di sostegno perché il comune non copre totalmente la spesa. Solo dopo ho scoperto che li avrei potuti denunciare; nel frattempo, l’avevo già iscritta in un asilo comunale dove per fortuna abbiamo trovato maestre splendide. Secondo scoglio, l’insegnante di sostegno che lo scorso anno ci è stata data al 50%. Quest’anno si è riproposto il problema, ho minacciato di fare causa e grazie all’intervento della dirigente scolastica l’abbiamo avuta a tempo pieno. In sostanza, non bisogna mai abbassare la guardia. Se hai un figlio disabile vivi una maternità sempre con il piede di guerra perché i diritti dei bambini sono puntualmente calpestati. Per non parlare di tutto il resto: il parco giochi dove non trovi nulla di adatto a lei o il ristornate dove devi uscire sempre attrezzata, le piscine dove non esiste un lavatoio per lavarla in piedi, il tram su cui non puoi salire o una babysitter adatta a tua figlia. L’assistenza e il sostegno ai genitori di disabili sono carenti in tutto. Se, poi, non capisci da solo che hai bisogno di un sostegno psicologico non puoi che perderti».

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