Le foto di questo servizio sono di Vatican News e del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita
L’ultima testimonianza ascoltata al X Incontro mondiale delle famiglie è stata proprio quella che ha fatto sobbalzare il cuore di tutti, che ha commosso le menti e mosso i corpi, al punto di far alzare in piedi tutti i delegati presenti in Sala Paolo VI, per uno spontaneo e commosso omaggio ed applauso alla potenza delle parole ascoltate da Daniel e Leila Abdallah, coppia libanese che vive oggi in Australia. E proprio in una città australiana il primo febbraio 2020 è accaduto a questa famiglia un evento intollerabile, una tragedia da cui nessuno di noi potrebbe dire di sapersi rialzare. Un automobilista drogato ed ubriaco (150 all’ora in pieno centro cittadino!) in pieno giorno ha falciato sulla strada un gruppo di bambini, uccidendo tre loro figli: Antony, Angelina e Sienna.
Le voci di Daniel e Leila sono rimaste ferme nel raccontare questo strazio, ma è stata Leila a raccontare che, nel primo contatto a caldo con i giornalisti, «che quasi non avevano nemmeno parole per fare domande», ha saputo dire («non so nemmeno da dove mi sia venuta questa idea»): «Io perdono la persona che ha fatto questo ai miei figli». Su questa breve parola è come cresciuto un miracolo: veglie di preghiera, dibattito sui social e su tutti i media, una città che si interroga, ma, soprattutto, l’esperienza che anche per la loro famiglia (i figli superstiti, i genitori, altre due famiglie coinvolte direttamente nella tragedia) un dramma così più grande della umana capacità di sopportazione è diventato gestibile, restituendo alla vita e alla speranza ogni membro della famiglia, senza intrappolarsi nella rabbia, del dolore, nella sete di vendetta. E anche Luis, il padre, ha saputo perdonare se stesso, perché lui aveva dato il permesso di andare a festeggiare un compleanno andando a prendersi un gelato, e diventando così, in una prospettiva solo umana, anche lui “colpevole”.
È impossibile restituire la verità delle parole ascoltate da Daniel e Leila; vale la pena di andarli ad ascoltare sul sito del Dicastero Laici, Famiglia e Vita (già on line, come tutti i materiali dell’Incontro mondiale), anche se per ora sono solo in versione originale (in inglese). Entrambi hanno comunque ricordato che l’esperienza del perdono non è parola di un momento, ma è fatica quotidiana di ogni istante, che va rinnovata giorno dopo giorno, anche quando il dolore ritorna più forte, e che questo è stato possibile, per loro, solo nella memoria della croce di Cristo, che anche in quel momento ha saputo dire: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Ma quello che ha sorpreso ancora di più è stato il fatto che, da questa inaspettata capacità di dire “perdono”, un evento così tragico è diventato generativo di vita nuova e di speranza per tanti: fino ad istituire, in Australia, una giornata del perdono, il 1 febbraio, prima come evento religioso, poi riconosciuta anche dalle istituzioni pubbliche, in un Paese dove la distanza tra religione e vita pubblica è certamente molto marcata. E così Daniel e Leila, alla fine del loro intervento, hanno anche potuto dire che hanno in progetto di portare questa loro esperienza – il dono del perdono – anche nella loro terra di origine, in Libano, e nel Medio Oriente, e in giro per il mondo, perché in tutto il mondo c’è bisogno di perdono. Perdonare in famiglia, tra le persone, nella vita quotidiana, ma anche perdono nella vita pubblica, nella società, per non cadere nella spirale della vendetta, della violenza, della guerra: questo è certamente il mandato più potente che le famiglie ricevono dall’incontro di Roma: sapere generare una cultura del perdono, per rendere più umanoa la vita in famiglia, per rendere più umano tutto il mondo.