«La pace è gravemente violata, ferita, calpestata: e questo in Europa, cioè nel continente che nel secolo scorso ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali. Per questo la nostra preghiera è diventata un grido». Sono forti i toni di Papa Francesco alla conclusione dell’incontro interreligioso “Il grido della pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio dal 23 al 25 ottobre a Roma con capi religiosi e politici da tutto il mondo. I presidenti Mattarella e Macron avevano avviato i lavori domenica, Bergoglio li conclude davanti a un Colosseo colorato dagli abiti variopinti dei leader induisti, buddisti e delle religioni orientali, insieme ai rappresentanti delle tre fedi monoteiste. È il trentaseiesimo appuntamento dello “spirito di Assisi”, quel pellegrinaggio di pace avviato Giovanni Paolo II nel 1986.
Francesco cita il radiomessaggio di Giovanni XXIII del 25 ottobre 1962, esattamente 60 anni fa, quando la crisi di Cuba faceva sentire vicina la deflagrazione nucleare: «Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra». Commuove la folla la tragica attualità di quell’appello: «Si sta verificando – continua Francesco – quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato». «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male». Serve invece «lo ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza».
La cerimonia finale è preceduta dalle preghiere nei diversi luoghi: cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, induisti e fedeli di altre religioni asiatiche hanno invocato la pace in contemporanea, ciascuno secondo la propria tradizione, gli uni accanto agli altri. I cristiani all’interno del Colosseo hanno ascoltato l’omelia di Mar Awa III, Catholicos e Patriarca della Chiesa Assira d’Oriente venuto dall’Iraq, e la preghiera del Metropolita Emmanuel del Patriarcato di Costantinopoli. «Nel silenzio della preghiera – dirà poco dopo Francesco – abbiamo sentito il grido della pace: la pace soffocata in tante regioni del mondo, umiliata da troppe violenze, negata perfino ai bambini e agli anziani».
Poi i religiosi si sono riuniti in un corteo segnato da commoventi abbracci (particolarmente caloroso quello tra il Papa e la sopravvissuta alla Shoah Edith Bruck), sino al palco di fronte all’anfiteatro Flavio. Qui viene letto da una rifugiata siriana l’Appello di Pace 2022, frutto dell’incontro: ciascun leader lo firma, accendendo simbolicamente la candela e deponendola in un candelabro. Si legge nell’appello: «Con ferma convinzione diciamo: basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto. Tacciano le armi, si dichiari subito un cessate il fuoco universale. Si attivino presto, prima che sia troppo tardi, negoziati capaci di condurre a soluzioni giuste per una pace stabile e duratura. Siamo di fronte a un bivio: essere la generazione che lascia morire il pianeta e l'umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta”.
Il presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, anche lui intervenuto alla cerimonia finale parlando di “necropolitica”, riassume: «Dall’Ucraina bombardata, dalle trincee del Donbass, si alza il grido dei feriti, dei morenti, il lamento dei familiari e degli amici. Le stesse urla di dolore, le stesse implorazioni di pace, si alzano dalla Siria, dal Caucaso, dall’Afghanistan, dallo Yemen, dalla Libia, dall’Etiopia, dal Sahel, dal Nord del Mozambico, da decine di altri luoghi conosciuti o sconosciuti. E Si soffocano le voci dei morti, si spegne il lamento dei feriti, dei sofferenti, degli affamati, dei profughi. I faziosi al servizio delle ragioni della guerra ci spiegano che esistono le “guerre giuste” e le “guerre sante”».
«Chi ascolta queste voci?», si chiede Impagliazzo. E risponde, a nome dei partecipanti alla tregiorni: «Noi siamo qui, perché abbiamo scelto di ascoltare il grido di tanti, fratelli e sorelle in umanità». E dopo di lui si ascoltano quelle dell’argentina Alicia Peressuti, che ospita nelle case famiglie della sua associazione Civile Vinculos en Red le giovanissime vittime (maschi, femmine, trans) del traffico di esseri umani, spesso bambini. E poi Esther Iweze Adaeze, donna nigeriana: «Ero nel carcere di Sabha in Libia, trattata come schiava, mi è successo di tutto: violenze, maltrattamenti, sequestri. Eravamo tantissime donne, non c’erano finestre, eravamo tutte a dormire per terra, c’era pochissimo cibo, spesso solo pane e acqua sporca una volta al giorno. A volte alcune di noi venivano prese e sentivamo le urla delle loro torture, questo era terribile. Ho visto gente morire accanto a me». Così racconta come è stata liberata dai corridoi umanitari di Sant’Egidio: «Degli angeli venivano ad aprire la porta della prigione. Era la salvezza per me e per quelli che erano sul mio aereo. Ho viaggiato con un documento, con un visto, mi hanno accolto con fiori e sorrisi. È la resurrezione». Seguono le immagini dei naufragi nel Mediterraneo, con la scritta “never again”, mai più, e un minuto di silenzio per le vittime della guerra, del terrorismo e della tratta.
Conclude il Papa: «Questo grido silenzioso sale al Cielo. Non conosce formule magiche per uscire dai conflitti, ma ha il diritto sacrosanto di chiedere pace in nome delle sofferenze patite. Merita che tutti, a partire dai governanti, si chinino ad ascoltare con serietà e rispetto. Il grido della pace esprime il dolore e l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà».