«In Canada ho sentito gli schiaffi del dolore di quella gente. Sono andato a chiedere perdono a nome della Chiesa perché era necessario metterci la faccia». Papa Francesco spiega i motivi del viaggio apostolico della scorsa settimana in cui ha incontrato le comunità locali degli indigeni. Poi rinnova l’invito a pregare per la pace nel mondo, soprattutto in Ucraina. E ricorda il secondo anniversario, il 4 agosto, della terribile esplosione nel porto di Beirut, capitale del Libano.
È la prima udienza generale dopo la pausa di luglio. Accolto dall'ovazione delle migliaia di pellegrini, il Pontefice, che cammina appoggiandosi a un bastone, è entrato nell’Aula Paolo VI dall'ingresso posto sul palco e, senza scendere nella platea, ha salutato e benedetto i presenti.
Come aveva preannunciato nell’Angelus di domenica scorsa, Bergoglio ha dedicato l’udienza generale a un bilancio del recente viaggio in Canada ripercorrendone i momenti salienti attraverso tre tappe: «Memoria, riconciliazione, e quindi guarigione». È stato «un viaggio diverso dagli altri», ha detto il Papa, «la motivazione principale era quella di incontrare le popolazioni originarie per esprimere ad esse la mia vicinanza – la vicinanza della Chiesa -, il mio dolore e chiedere perdono per il male loro arrecato da quei cristiani, tra cui molti cattolici, che in passato hanno collaborato alle politiche di assimilazione forzata e di affrancamento dei governi dell’epoca», ha spiegato Francesco, «In questo senso, in Canada è stato intrapreso un percorso per scrivere una nuova pagina del cammino che da tempo la Chiesa sta compiendo insieme ai popoli indigeni. E infatti il motto del viaggio – “Camminare insieme”– spiega un po’ questo. Un cammino di riconciliazione e di guarigione, che presuppone la conoscenza storica, l’ascolto dei sopravvissuti, la presa di coscienza e soprattutto la conversione, il cambiamento di mentalità».
Per un verso, ha proseguito, «alcuni uomini e donne di Chiesa sono stati tra i più decisi e coraggiosi sostenitori della dignità delle popolazioni autoctone, prendendo le loro difese e contribuendo alla conoscenza delle loro lingue e culture», l’analisi del Papa: «Ma, per altro verso, non sono mancati purtroppo cristiani – cioè preti, religiosi, religiose, laici – che hanno partecipato a programmi che oggi capiamo che sono inaccettabili e contrari al Vangelo. E per questo io sono andato a chiedere perdono, a nome della Chiesa», ha proseguito a braccio: «È stato dunque un pellegrinaggio penitenziale. Tanti sono stati i momenti gioiosi, ma il senso e il tono dell’insieme è stato di riflessione, pentimento e riconciliazione».
Francesco ha richiamato il profondo significato della spiritualità dei nativi: «Insieme abbiamo fatto memoria: la memoria buona della storia millenaria di questi popoli, in armonia con la loro terra – questa è una delle cose più belle dei popoli indigeni: l’armonia con la terra, mai maltrattano il creato – e la memoria dolorosa dei soprusi subiti, anche nelle scuole residenziali, a causa delle politiche di assimilazione culturale», ha detto riassumendo la prima tappa del “pellegrinaggio penitenziale” ad Edmonton, nella parte occidentale del Paese.
«Accompagnati dal suono dei tamburi, abbiamo lasciato spazio al silenzio e alla preghiera, perché dalla memoria possa ripartire un cammino nuovo, senza più dominatori e sudditi, ma solo fratelli e sorelle. Dopo la memoria, il secondo passo del nostro cammino è stato quello della riconciliazione», il riferimento alla seconda tappa, a Québec, nella parte orientale. «Non un compromesso tra noi – sarebbe un’illusione, una messa in scena – ma un lasciarsi riconciliare da Cristo, che è la nostra pace», ha puntualizzato il Papa, «L’abbiamo fatto tenendo come riferimento la figura dell’albero, centrale nella vita e nella simbologia dei popoli indigeni».
«Recuperare l'armonia tra la modernità e le culture ancestrali»
Bergoglio ha proseguito a spiegare le altre tappe del viaggio: «Abbiamo fatto questo terzo passo del cammino sulle rive del Lago Sant’Anna, proprio nel giorno della festa dei Santi Gioacchino e Anna», ha spiegato, «per Gesù il lago era un ambiente familiare. Tutti possiamo attingere da Cristo, fonte di acqua viva. Da questo percorso di memoria, riconciliazione e guarigione scaturisce la speranza per la Chiesa, in Canada e in ogni luogo», la tesi del Papa, che ha fatto riferimento alla figura dei discepoli di Emmaus, che «dopo aver camminato con Gesù risorto passarono dal fallimento alla speranza. Il cammino insieme ai popoli indigeni ha costituito l’asse portante di questo viaggio apostolico», ha ripetuto Francesco: «Su di esso si sono innestati i due incontri con la Chiesa locale e con le autorità del Paese, alle quali desidero rinnovare la mia sincera gratitudine per la grande disponibilità e la cordiale accoglienza che hanno riservato a me e ai miei collaboratori, e ai vescovi lo stesso. Davanti ai governanti, ai capi indigeni e al Corpo diplomatico – ha riassunto il Papa – ho ribadito la volontà fattiva della Santa Sede e delle comunità cattoliche locali di promuovere le culture originarie, con percorsi spirituali appropriati e con l’attenzione alle usanze e alle lingue dei popoli. Nello stesso tempo, ho rilevato come la mentalità colonizzatrice si presenti oggi sotto varie forme di colonizzazioni ideologiche, che minacciano le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli, appiattendo le differenze, concentrandosi solo sul presente e trascurando spesso i doveri verso i più deboli e fragili».
Per il Papa «si tratta dunque di recuperare un sano equilibrio, recuperare l’armonia – che è più di un equilibrio, è un’altra cosa – tra la modernità e le culture ancestrali, tra la secolarizzazione e i valori spirituali», la ricetta di Francesco: «E questo interpella direttamente la missione della Chiesa, inviata in tutto il mondo a testimoniare e seminare una fraternità universale che rispetta e promuove la dimensione locale con le sue molteplici ricchezze.Voglio ribadire il mio ringraziamento alle autorità civili», ha proseguito a braccio: «Alla signora governatrice, al primo ministro, alle autorità dei posti dove sono andato: ringrazio tanto per il modo in cui hanno aiutato che questo si facesse. E ringraziare i vescovi, soprattutto l’unità dell’episcopato: questo è stato possibile da parte nostra perché i vescovi erano uniti, e dove c’è unità si può andare avanti».
Il terzo e ultimo incontro in Canada, nella terra degli Inuit, a 300 chilometri dal Circolo polare artico, con giovani e anziani, si è svolto «nel segno della speranza», ha spiegato il Papa: «Soprattutto in questo ultimo incontro – ha rivelato Francesco a braccio – ho dovuto sentire come schiaffi dal dolore di quella gente: gli anziani che hanno perso i figli e non sapevano dove erano finiti, per questa politica di assimilazione. È stato un momento molto doloroso, ma si doveva mettere la faccia: dobbiamo dare la faccia davanti ai nostri errori, ai nostri peccati. Anche in Canada questo è un binomio-chiave, è un segno dei tempi», ha detto riferendosi all’incontro con gli Inuit: «Giovani e anziani in dialogo per camminare insieme nella storia tra memoria e profezia, che sono in tensione. La fortezza e l’azione pacifica dei popoli indigeni del Canada sia di esempio per tutte le popolazioni originarie a non chiudersi, ma ad offrire il loro indispensabile contributo per un’umanità più fraterna, che sappia amare il creato e il Creatore», l’auspicio finale del Papa: «In armonia con il creato, in armonia tra tutti voi».
Dopo la catechesi, nei saluti in varie lingue, il Papa si è rivolto ai pellegrini polacchi: «So che in agosto tanti di voi si recano a piedi a Jasna Góra e ad altri santuari mariani. Vi chiedo di offrire le fatiche del vostro cammino anche per la Chiesa, per la pace nel mondo, specialmente in Ucraina», ha detto, «saluto le Suore di Santa Elisabetta, che stanno vivendo qui a Roma il tempo di rinnovamento spirituale: molte di loro lavorano in Ucraina. La Madre di Dio ottenga abbondanti grazie divine su di loro e sulle persone a cui portano aiuto».
Bergoglio ha ricordato inoltre che «domani ricorre il secondo anniversario dell’esplosione del porto di Beirut: Il mio pensiero – ha proseguito – va alle famiglie delle vittime del disastroso evento e al caro popolo libanese. Prego che ciascuno sia consolato dalla fede, confortato dalla giustizia e della verità, che non può essere mai nascosta», ha detto il Papa. «Auspico che il Libano, con l’aiuto della comunità internazionale, continui a percorrere il cammino di rinascita, rimanendo fedele alla sua vocazione di terra di pace e di pluralismo, dove le popolazioni di fedi diverse possano vivere in fraternità».
Infine, il Papa ha salutato i ragazzi del Centro Estivo “Estate ragazzi in Vaticano”: «Sono stati zitti fino adesso, si capisce che facciano un po’ di rumore, no», ha sottolineando davanti alle loro grida, «accompagnati dai genitori e dagli animatori che ringrazio per la loro preziosa opera. Il lavoro che avete fatto, grazie. E di modo speciale - ha aggiunto il Pontefice - vorrei ringraziare don Franco, il cappellano, l'anima spirituale del Vaticano, che come un buon salesiano è stato capace di mettere questo seme, di fare questo centro estivo già per il terzo anno. Grazie, don Franco!».