Dopo gli anni della pandemia, in cui era stata celebrata in Vaticano, papa Francesco ha deciso di tornare a celebrare il Corpus Domini nella cattedrale di San Giovanni in Laterano dove ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica al termine della quale si è svolta la processione con il Santissimo Sacramento lungo via Merulana, fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Hanno partecipato al rito oltre 460 tra cardinali, vescovi, ausiliari della diocesi, prelati, parroci di Roma, sacerdoti e religiosi.
Nell’omelia della Messa, il Pontefice si è soffermato sulle tre dimensioni del mistero eucaristico: il ringraziamento, la memoria e la presenza.
«La parola “Eucaristia” vuole proprio dire “grazie”», spiega Francesco, «“ringraziare” Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante. È l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto. L’Eucaristia, allora, ci insegna a benedire, ad accogliere e baciare, sempre, in rendimento di grazie, i doni di Dio, e questo non solo nella celebrazione: anche nella vita. In che modo? Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore: perché tutto è dono e nulla può andare perduto, perché nessuno può rimanere a terra, e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e di riprendere il cammino. Poi salutandoci, ogni mattina, con riconoscenza e con gioia, per dirci, con il buongiorno, “grazie” di esserci, del dono che siamo gli uni per gli altri, specialmente in famiglia, tra genitori, figli e nonni, e in ufficio, in fabbrica, a scuola, per strada, con gli amici e i colleghi. Ancora, svolgendo il nostro lavoro con amore, con precisione, con cura, vivendolo come un dono e una missione, qualunque esso sia, anche se umile, ricordandoci che ogni azione buona dell’uomo è sacra e unica davanti a Dio. Infine condividendo tra noi, la sera, i gesti d’amore di cui siamo testimoni o protagonisti durante la giornata: come doni da ricordare e celebrare, specialmente quando ci ritroviamo insieme attorno alla tavola, perchè non passino inosservati e servano al bene di tutti».
Francesco ricorda che questi sono tutti «modi per rendere grazie. Sono atteggiamenti “eucaristici” importanti», sottolinea, «perché ci insegnano a cogliere il valore di ciò che facciamo, e di ciò che offriamo durante la Messa quando, come faremo tra poco, portiamo all’Altare il pane per la Consacrazione: lì dentro c’è la nostra vita, ed è questa l’offerta che il Padre gradisce accogliendola e trasformandola nel Corpo e Sangue del suo Figlio».
Dio, ricorda il Papa, «non ci chiede cose grandi e appariscenti: è felice del poco che abbiamo, se lo offriamo con la gioia e l’umiltà di chi rende grazie. Secondo: “benedire il pane” vuol dire fare memoria. Di cosa? Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio dell’esodo verso la terra promessa. Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte. È tornare presenti al momento in cui Egli stesso ha spezzato il pane dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” e a quello in cui, in ginocchio, ha lavato i piedi agli Apostoli dicendo: “Vi ho dato un esempio […] perché anche voi facciate come io ho fatto”. E in tutto questo Gesù, il Figlio di Dio, inginocchiandosi liberamente davanti a noi come “colui che serve” e donandosi a noi come pane, non solo ci ha liberato, ma ci ha anche mostrato come vivere da uomini liberi».
Proprio sulla libertà il Papa si sofferma: «C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e magari con prepotenza, fa tutto quello che vuole a dispetto degli altri. Ma questa non è libertà: è schiavitù, e lo vediamo bene nelle situazioni in cui la chiusura e il ripiegamento su sé stessi producono povertà, solitudine, sfruttamento, guerre e dipendenze. In tutti questi casi, si vede bene come l’egoismo non porta libertà, ma schiavitù. La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula per sé, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire loro il proprio servizio, la propria vita, come “salvati” che vogliono portare salvezza e “liberati” che vogliono portare libertà. Anche questo ci ricorda il fare memoria della Pasqua nel pane spezzato dell’Eucaristia. Infine, il pane Eucaristico è presenza reale di Cristo. E con questo ci parla di un Dio che non è lontano e geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; che non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani, alla mercè della nostra accettazione o del nostro rifiuto. E questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama. Ad essere vicini a chi è solo, a chi è lontano da casa, a chiunque ha bisogno di noi, senza timore, dicendo: “Eccomi, sono qui. Ti offro il mio aiuto, il mio tempo, quello che posso”».
Il Papa ricorda che «c’è un’espressione molto bella per definire una persona buona, si dice: “è un pezzo di pane”, proprio per indicare che ha il cuore grande, che è disponibile, che non si risparmia, che si dà senza pretese, anche a costo di sacrificarsi, che “si lascia mangiare”. Ecco, per questo Dio si dona a noi come pane: per insegnarci ad essere a nostra volta “pezzi di pane” gli uni per gli altri. E quanto bisogno c’è nel nostro mondo di questo pane, della sua fragranza e del suo profumo, che sa di gratitudine, di libertà e di prossimità! Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza! È urgente», continua, «riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge. Facciamolo noi, per primi, questo passo, donando la nostra vita, e trasformandola in “frumento di Dio macinato […] per diventare pane puro di Cristo”, come scriveva un santo Vescovo e Martire dei primi secoli, proprio rivolgendosi alla Chiesa di Roma».
Infine, il Papa ricorda il significato della Processione eucaristica: «Partendo dall’Altare, porteremo tra le case della nostra città l’Ostia Consacrata. Non lo facciamo per metterci in mostra, e neanche per ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato; per invitare tutti a camminare con noi dietro a Lui, con cuore riconoscente e generoso, perché in noi e in ogni uomo e donna che incontriamo possano crescere la gioia e la libertà dei figli di Dio».