L’avarizia è una «forma di attaccamento al denaro che impedisce all’uomo la generosità. Non è un peccato che riguarda solo le persone che possiedono ingenti patrimoni, ma un vizio trasversale, che spesso non ha nulla a che vedere con il saldo del conto corrente. È una malattia del cuore, non del portafogli».
Papa Francesco all’udienza generale nell'Aula Paolo VI prosegue il ciclo di catechesi sui i vizi e le virtù e, dopo lussuria e gola, si sofferma sull’avarizia. «Possiamo essere signori dei beni che possediamo, ma spesso accade il contrario: sono loro alla fine a possederci», avverte Bergoglio che cita l’esempio dei monaci del deserto i quali, dopo aver rinunciato a enormi eredità, nella solitudine della loro cella si erano attaccati ad oggetti di poco valore: «Non li prestavano, non li condividevano e men che meno erano disposti a regalarli. Un attaccamento a piccole cose. Quegli oggetti diventavano per loro una sorta di feticcio da cui era impossibile staccarsi. Una specie di regressione allo stadio dei bambini che stringono il giocattolo ripetendo: “È mio! È mio! Un attaccamento così, che toglie la libertà”».
Un esempio che dimostra perfettamente come l’avarizia sia un vizio trasversale che non dipende dalla quantità di ricchezza posseduta. Essa, ricorda ancora il Pontefice, a volte è la spia di «un rapporto malato con la realtà, che può sfociare in forme di accaparramento compulsivo o di accumulo patologico». Il rimedio «per guarire da questa malattia» lo avevano elaborato sempre i monaci: «Un metodo drastico, eppure efficacissimo: la meditazione della morte», spiega Francesco perché, aggiunge, «per quanto una persona accumuli beni in questo mondo, di una cosa siamo assolutamente certi: che nella bara essi non ci entreranno. Noi non possiamo portare con noi i beni. Ecco svelata l’insensatezza di questo vizio. Il legame di possesso che costruiamo con le cose è solo apparente, perché non siamo noi i padroni del mondo: questa terra che amiamo, in verità non è nostra, e noi ci muoviamo su di essa come forestieri e pellegrini». Francesco traccia anche un esempio paradossale. Il comportamento dei ladri è «censurabile», certo, ma allo stesso tempo può essere «un ammonimento salutare» contro il vizio dell'avarizia. I ladri infatti ci rendono questo servizio. Anche nei Vangeli essi hanno un buon numero di apparizioni e, sebbene il loro operato sia censurabile, esso può diventare un ammonimento salutare».
Papa Francesco cita al proposito un passo del Vangelo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» Per il Pontefice l’avarizia «è un tentativo di esorcizzare la paura della morte: cerca sicurezze che in realtà si sbriciolano nel momento stesso in cui le impugniamo». E cita la parabola dell’uomo stolto nel Vangelo di Luca: la campagna di quest'uomo aveva offerto una mietitura abbondantissima e lui si cullava nei pensieri su come allargare i suoi magazzini per metterci tutto il raccolto. Quella notte stessa, invece, gli è stata chiesta la vita. Una parabola emblematica che dimostra come alla fine sono i beni «a possederci» e difficilmente avviene il contrario: «Alcuni uomini ricchi non sono più liberi, non hanno più nemmeno il tempo di riposare, devono guardarsi alle spalle perché l’accumulo dei beni esige anche la loro custodia. Sono sempre in ansia perché un patrimonio si costruisce con tanto sudore, ma può sparire in un attimo».
Questi uomini, sottolinea papa Francesco, «dimenticano la predicazione evangelica, la quale non sostiene che le ricchezze in sé stesse siano un peccato, ma di certo sono una responsabilità. Dio non è povero», afferma il Papa, «è il Signore di tutto. È ciò che l’avaro non capisce. Poteva essere motivo di benedizione per molti, e invece si è infilato nel vicolo cieco dell’infelicità. E la vita dell'avaro è brutta».
Infine, a braccio, Francesco racconta un aneddoto personale e cioè «il caso di un signore che conobbi nell’altra diocesi, un uomo ricchissimo. Aveva la mamma ammalata, lui era sposato, e i fratelli facevano i turni per accudire la mamma e la mamma prendeva uno yogurt al mattino». Questo signore dava alla madre «la metà al mattino per darle l’altra metà al pomeriggio, per risparmiare mezzo yogurt... Così è l’avarizia, l’attaccamento ai beni. Poi questo signore è morto e i commenti delle persone che sono andati alla veglia erano: “Ma, si vede che quest’uomo non ha niente addosso, ha lasciato tutto”. E poi facendo un po’ di beffa dicevano: “No, no, non potevano chiudere la bara perché voleva portarsi tutto con lui. E questo fa ridere... l’avarizia. Dobbiamo lasciare tutto. Stiamo attenti e siamo generosi, con tutti, generosi con coloro che hanno più bisogno».
Al termine della catechesi, il Papa nel salutare i fedeli di lingua italiana ricorda che «il 27 gennaio si celebra la Giornata internazionale della commemorazione delle vittime dell’Olocausto» e lancia un appello: «Il ricordo e la condanna di quell’orribile sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi, avvenuta nella prima metà del secolo scorso, aiuti tutti a non dimenticare che logiche dell’odio e della violenza non si possono mai giustificare, perché negano la nostra stessa umanità».
Francesco rimarca ancora una volta che «la guerra stessa è una negazione dell’umanità. Non stanchiamoci di pregare per la pace, perché cessino i conflitti, si fermino le armi e si soccorrano le popolazioni stremate. Penso al Medio Oriente, alla Palestina, a Israele, alle notizie inquietanti che provengono dalla martoriata Ucraina, soprattutto per i bombardamenti che colpiscono luoghi frequentati da civili, seminando morte, distruzione e sofferenza. Prego per le vittime e i loro cari e imploro tutti, specialmente chi ha responsabilità politiche, a custodire la vita umana mettendo fine alle guerre. Non dimentichiamo che la guerra è una sconfitta sempre, solo ‘vincono’, tra virgolette, i fabbricatori delle armi».