Papa Francesco non dimentica la “cara” e “martoriata” Ucraina: «Tanto soffre… tanto soffre», dice dopo la catechesi dell’udienza generale del mercoledì, esortando i fedeli in piazza San Pietro a «pregare di più» per il Paese in guerra da più di un anno. Tra questi fedeli ci sono anche i giovani di “Rondine” l’associazione toscana la cui Cittadella della Pace sulle rive dell’Arno ha accolto negli anni migliaia di ragazzi e ragazze di diverse culture, nazionalità e religioni, che hanno imparato la cultura e la pratica del dialogo. Accompagnato dal vescovo Andrea Migliavacca, nel gruppo ci sono anche giovani russi e ucraini. A loro guarda il Papa, indirizzandogli «un pensiero grato» perché, dice, «venendo dall’Ucraina e dalla Russia e da altri Paesi di guerra, hanno deciso di non essere nemici, ma di vivere da fratelli. Il vostro esempio possa suscitare propositi di pace in tutti, anche in coloro che hanno responsabilità politiche. Questo - aggiunge a braccio - ci deve portare a pregare di più per la martoriata Ucraina ed essere vicino alla cara e martoriata Ucraina che tanto soffre».
Ancora per l’Ucraina il Papa prega alla fine dell’udienza, affidandone la popolazione all’intercessione della Vergine Maria. Rivolgendosi come di consueto a giovani, malati, anziani e coppie di sposi, Francesco ricorda infatti che «oggi, ultimo giorno del mese di maggio, la Chiesa celebra la Visita di Maria alla cugina Elisabetta, dalla quale è proclamata Beata perché ha creduto alla parola del Signore. Guardate a Lei e da Lei implorate il dono di una fede sempre più coraggiosa», dice, «alla sua materna intercessione affidiamo quanti sono provati dalla guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina che tanto soffre».
Bergoglio continua il ciclo di catechesi sullo zelo apostolico e si sofferma sulla figura di Matteo Ricci, gesuita, originario di Macerata, animato dall’ardente desiderio di essere inviato nell’Estremo Oriente e missionario in Cina a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Dai tempi di Francesco Saverio, nessun altro gesuita era più riuscito ad entrare in Cina. Ma Ricci e un suo compagno, dopo essersi preparati bene imparando la lingua e i costumi cinesi, ottennero di potersi stabilire nel sud del Paese. Ci misero 18 anni per arrivare a Pechino: «Con costanza e pazienza, animato da una fede incrollabile, Matteo Ricci poté superare difficoltà e pericoli, diffidenze e opposizioni», dice il Papa, «pensate in quel tempo, camminare o andare a cavallo, tante distanze … e lui andava avanti».
Per il Papa, «lo spirito e il metodo missionario di Matteo Ricci costituiscono un modello vivo e attuale» perché «ha seguito sempre la via del dialogo e dell'amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l'annuncio della fede cristiana». Ed è proprio questo, per il Pontefice, il “segreto” di Matteo Ricci nel portare il cristianesimo in Cina.
«Dopo aver studiato nelle scuole dei Gesuiti ed essere entrato egli stesso nella Compagnia di Gesù, entusiasmato dalle relazioni dei missionari, come molti altri giovani suoi compagni, chiese di essere inviato nelle missioni dell'Estremo Oriente», ha raccontato il Pontefice ripercorrendone la biografia: «Dopo il tentativo di Francesco Saverio, altri venticinque Gesuiti avevano provato inutilmente ad entrare in Cina. Ma Ricci e un suo confratello si prepararono molto bene, studiando accuratamente la lingua e i costumi cinesi, e alla fine riuscirono a ottenere di stabilirsi nel sud del Paese. Ci vollero diciotto anni, con quattro tappe attraverso quattro città differenti, prima di arrivare a Pechino, che era il centro. Con costanza e pazienza, animato da una fede incrollabile, Matteo Ricci poté superare difficoltà e pericoli, diffidenze e opposizioni. Qual è stato il segreto? Ha seguito sempre la via del dialogo e dell'amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l'annuncio della fede cristiana».
La sua prima opera in lingua cinese, ha fatto notare il Papa, fu proprio un trattato «Sull'amicizia», che ebbe «grande risonanza»: «Per inserirsi nella cultura e nella vita cinese in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti, all'usanza del Paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo stile di vita e le vesti dei letterati, come i professori universitari. Studiò in modo approfondito i loro testi classici, così da poter presentare il cristianesimo in dialogo positivo con la loro saggezza confuciana e con gli usi e i costumi della società cinese. E questo si chiama atteggiamento di inculturazione», ha proseguito Francesco a braccio. Il Pontefice ha anche annotato che tra i maggiori pregi della missione e della vita di padre Ricci, «oltre alla dottrina» c'era quello della «coerenza» nella «testimonianza di vita religiosa, di virtù e di preghiera».
«Questi missionari pregavano - ha sottolineato -, andavano a predicare, facevano mosse politica, ma pregavano. È quello che alimenta la vita missionaria». Quindi «la sua carità, la sua umiltà e il suo totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica. Perché vedevano un uomo intelligente, così saggio, così furbo anche nel portare avanti le cose: dicevano “quello che dice è vero, perché dà testimonianza con la vita di quello che annuncia”».
E questo, secondo papa Francesco, «vale per tutti noi cristiani. Io posso dire il credo a memoria», ha aggiunto, «ma se la tua vita non è coerente con questo, non serve a nulla. Quello che attira le persone è la testimonianza di coerenza. Noi cristiani dobbiamo vivere coerentemente con quello in cui crediamo. Guardando questi grandi missionari, vediamo che la forza più grande è la coerenza: essi sono coerenti».