Francesco Moraglia (Genova, 25 maggio 1953) è patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012
“L’Europa si spende per l’euro, per le banche, per i parametri economici… ma sembra continuare a balbettare in altri fondamentali ambiti”. Parole dure quelle del Patriarca di Venezia, Monsignor Francesco Moraglia, intervenuto sulla vicenda del piccolo Alfie Evans, il bimbo inglese di 23 mesi affetto da una malattia neurovegetativa sconosciuta, e ricoverato al all'ospedale Alder Hey di Liverpool.
“Queste mie parole sorgono dal cuore del vescovo ma anche dell’uomo e del cittadino. La vicenda drammatica del piccolo Alfie non può lasciarci solo pensosi e tristi. Deve, piuttosto, portare ad una riflessione pacata e che aiuti a maturare una posizione per cui i diritti dei deboli - innanzitutto di un bambino e poi dei due giovani genitori - non siano “diritti deboli”, scrive in una dichiarazione Monsignor Moraglia, resa pubblica ieri.
“La vicenda del piccolo e fragilissimo Alfie ha faticato a catturare l’attenzione di molti, ma, alla fine e contro tanti ostacoli, vi è riuscita. E questo bambino, anche grazie ai media, è diventato davvero “figlio nostro” e “figlio del mondo”, continua il vescovo.
Quindi la critica alle istituzioni europee: “La vicenda è molto triste perché chiama in causa la civiltà e la cultura, il diritto e la giustizia, le istanze etiche attorno a cui si fonda la vita di un intero Paese, di molti popoli, di una nazione e di un intero continente - l’Europa - che purtroppo, ancora una volta, ci lascia profondamente delusi per come non riesce a trattare una questione delicatissima e così lancinante”.
Moraglia, invece, usa parole di stima nei confronti dell’Italia, che ha scelto una strada diversa e “originale”, accostando le offerte d’accoglienza del bambino negli ospedali italiani all’accoglienza dei migranti: “Il nostro Paese concedendo ad Alfie la cittadinanza e offrendo la disponibilità ad accoglierlo e curarlo in alcune nostre strutture ospedaliere d’eccellenza (il Bambino Gesù di Roma e il Gaslini di Genova), ancora una volta - come per il salvataggio di migliaia di uomini in mare - ha saputo e soprattutto voluto cantare fuori dal coro, mostrando in tale vicenda un’attenzione, una sensibilità e, in una parola, un’umanità che, in fondo, da sempre appartiene all’Italia, alla sua storia e alla sua cultura e che viene continuamente attestata da varie e attuali situazioni contingenti e strutturali”.
Certo – aggiunge - non sono mancate e non mancano in Italia ambiguità e incoerenze - alcuni recenti provvedimenti legislativi lo dimostrano - ma in questi casi (il piccolo Alfie e i salvataggi in mare) - e quindi sia nel rispetto della vita che, più in generale, nel prendersi cura delle persone - si è evidenziata un’incoraggiante “originalità” propria della cultura e della civiltà italiana, anche rispetto ad altri filoni di pensiero anglosassoni ed europei. Un’originalità di cui dovremmo andare umilmente fieri, non dimenticando di trascurarla e praticarla per il futuro”.
Il Patriarca, poi, ricorda e fa proprie le parole usate pochi giorni fa da Papa Francesco, nell’udienza generale del 18 aprile scorso: "l'unico padrone della vita, dall'inizio alla fine naturale, è Dio” e che, sempre, “il nostro dovere è fare di tutto per custodire la vita". Anche chi non è credente può convenire sul fatto che nessun potere umano (politico) può arrogarsi il diritto di impedire che altri Stati ed istituzioni scientifiche riconosciute come eccellenze - nel campo della ricerca e della cura medica - si facciano carico del piccolo Alfie ed intervengano in luogo di chi non ha più nulla da dire o da dare”.
Ed infine il monito al dovere di non far mancare mai le cure ai malati: “Senza accanimento terapeutico, senza cioè trattamenti sproporzionati, ma anche senza abbandono terapeutico, cioè senza mai venire meno al dovere-diritto di prendersi cura e di accompagnare la persona malata e i suoi familiari con alta professionalità, con grande umanità e con… amore, veramente disinteressato e non ideologico. Si tratta perlomeno di risparmiare il dolore - come ora è possibile, con le opportune e preziose cure palliative - fino al momento della morte naturale. Solo così una società “vive” e progredisce, solo così si cresce in civiltà e umanità”.