Un operatore di Open Arms durante un salvataggio. In copertina: la nave della Ong spagnola, ora sequestrata dalla Procura di Catania.
In uno splendido articolo apparso oggi sulla rivista online di Magistratura Democratica “Questione giustizia”, Alessandro Simoni, professore di sistemi giuridici comparati dell’Università di Firenze, affronta il nodo giuridico della vicenda Open Arms, analizzando il provvedimento firmato dalla Procura di Catania. “Il primo quesito giuridico che si è posto il magistrato – scrive il docente di diritto nell’articolo “Il corpo del magistrato e quello del migrante: un dilemma italiano?” – che ha disposto la misura cautelare è se le persone a carico delle quali era stato iscritto il procedimento potessero invocare lo stato di necessità per la sussistenza di un pericolo inevitabile di danno alle persone soccorse nell’evento SAR 164”. Una questione centrale, perché se l’equipaggio avesse agito in “stato di necessità” per evitare un danno ai migranti, non sarebbe punibile secondo il Codice penale italiano.
La risposta che Alessandro Simoni trova all’interno degli atti della Procura di Catania è fulminante, ed indicativa di cosa sia in gioco: “Il pubblico ministero non ha avuto dubbi. Il pericolo di danno grave alle persone (tra cui donne e bambini piccoli) era pacificamente scongiurato dal fatto che ‘la Guardia Costiera libica era in zona ed assumeva il comando del coordinamento’”. Aggiunge subito dopo: “Le maiuscole in ossequio al noto prestigio dell’istituzione non trasformavano tuttavia l’arrivo della Guardia Costiera libica in quello di una imbarcazione della Kustbevakningen svedese o nella Nederlandse Kustwcht. Le circostanze del salvataggio e le informazioni diffuse dalle stesse autorità italiane circa le condizioni che attendono i ‘salvati’ dalla Guardia Costiera libica (‘Le condizioni di vita di chi è riportato in Libia sono un mio assillo personale e quello dell’Italia’ diceva il ministro Minniti nel ferragosto 2017…) rendevano ragionevolmente difficile per gli operatori di Open Arms escludere il rischio di un ‘danno grave’ alle persone che l’equipaggio della motovedetta libica reclamava con la minaccia delle armi”. Parole che arrivano, come detto, dalla rivista di riferimento di una parte importante della magistratura italiana. Segno di un dibattito interno di certo non semplice, nato dopo la scelta della Procura di Catania.
Ed è questo il punto centrale della vicenda, al netto dei tanti altri elementi già raccontato da Famiglia Cristiana nei giorni scorsi. Il contesto di quel salvataggio che esce, con forza, vividamente, dal racconto degli operatori di Open Arms, ospitati per una conferenza stampa nella sede del Senato. Un incontro voluto e organizzato dal senatore Luigi Manconi, insieme ai legali che seguono il caso della Ong. “Solo in alto mare ti puoi rendere conto del pericolo, non è la stessa cosa di stare dietro ad una scrivania o in un ufficio”, ha spiegato Oscar Camps, presidente dell’organizzazione spagnola. Parole che appaiono ancora più chiare quando nella sala vengono proiettate le immagini delle operazioni di recupero dei naufraghi da parte dei volontari spagnoli e dell’incontro con la motovedetta italiana ceduta ai libici per le operazioni di Guardia Costiera. “Avete tre minuti per venire qui… avete tre minuti, che stanno diventando tre secondi...” gridava da un megafono un uomo della asserita Guardia Costiera libica, mentre sul gommone della Open Arms un bimbo ed una donna si abbassavano cercando riparo. Sembrano, nelle immagini, non avere neanche il coraggio di rivolgere lo sguardo verso quelle strane divise, che loro associano all’inferno lasciato alle spalle. E chi sia realmente l’autoproclamata guardia costiera libica – e le minuscole qui sono d’obbligo – lo ha raccontato Riccardo Gatti, volontario della Open Arms: “Li abbiamo già incontrati tre volte, due ci hanno minacciato sparando in aria con le armi e una volta ci hanno sequestrato per tre ore”. Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi è la stessa Onu, poi, a mettere nero su bianco il vero volto dei militari, o miliziani, in mare che girano con le motovedette regalate dall’Italia.
Open Arms ha ricostruito nel dettaglio la missione: “Ci siamo diretto sul primo target su segnalazione di IMRCC (la centrale di Roma di coordinamento dei salvataggi, ndr) ed è arrivato un messaggio un po’ strano, che ci comunicava l’affidamento del coordinamento alla Guardia costiera libica. E’ stata la prima volta da quando operiamo. Abbiamo salvato 117 persone e ci siamo diretti sul secondo target. Era un gommone vuoto, i migranti erano già stati presi dai libici. Sul terzo salvataggio è avvenuto quello che avete visto nel video; abbiamo poi salvato 110 persone”. Secondo la ricostruzione di Open Arms dopo le prime minacce – documentate nei filmati – i libici si sono allontanati, anche perché non erano in grado di far salire i naufraghi a bordo, non riuscendo neanche a scendere usando la scaletta fuori bordo. “Vorremmo ora sapere che fine hanno fatto quei migranti presi dai libici dal secondo target – ha commentato Luigi Manconi – come vorremmo sapere dove sono e come stanno quei naufraghi riportati in Libia prima e dopo l’operazione di Open Arms”. Su questo le autorità libiche fino ad oggi non hanno mai dato nessuna notizia. Nessuna foto, nessun filmato, nessuna comunicazione. Nulla è arrivato dal Ministero dell’Interno, che sulla vicenda tace.
Sul fronte giudiziario a breve il Gip di Catania dovrà decidere sulla convalida, o meno, del sequestro della nave. La competenza della Direzione distrettuale diretta da Carmelo Zuccaro – divenuto famoso lo scorso anno per le tante dichiarazioni relative ad ipotetiche indagini sulle Ong, mai arrivate a discovery o a risultati visibili – deriva direttamente dall’ipotesi di reato di associazione a delinquere, aggravante del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, imputazione principale. Nella richiesta di sequestro sono pochissimi, se non nulli, gli elementi di fatto presentati dal Pm: “Questa ipotesi è una forzatura intollerabile – ha spiegato l’avvocato Gamberini, difensore della team leader di Open Arms – e la contesteremo con una memoria che depositeremo giovedì mattina a Catania”.
Rispetto ad una delle due accuse mosse dalla Procura, l’aver scelto di non sbarcare i naufraghi a Malta, Riccardo Gatti ha poi ricordato come le norme dei salvataggi siano chiare: “Noi a Malta abbiamo fatto una evacuazione medica di urgenza di una donna e un bambino.
Il PoS (Place of safety, luogo sicuro, ovvero la destinazione dove sbarcare i naufraghi dopo il salvataggio) ci è stato assegnato da IMRCC di Roma, con un messaggio che indicava Pozzallo”. Gatti ha poi voluto rispondere all’ipotesi di esistenza di immagini satellitari che dimostrerebbero una presunta collusione tra trafficanti e Ong, avanzata oggi dal Fatto quotidiano: “Non c’è solamente un satellite su quella parte del Mediterraneo, che è particolarmente strategica, ce ne sono diversi. Se esistessero immagini in questo senso sarebbero venute fuori”. Nessuno, al momento, le ha mai viste.