Dopo averlo visto è giusto dirlo: Il traditore di Marco Bellocchio, che ricostruisce la vicenda di Tommaso Buscetta, non tradisce la Storia, a dispetto di un trailer, del film che, per com'era stato preparato per il lancio il 23 maggio del 2019, poteva indurre a sedersi in sala un po’ prevenuti. A giudicare dalle poche immagini scelte come "saggio" era facile temere che Il traditore tradisse la realtà proprio nel punto più delicato: dando spago al sospetto calunnioso che il giudice Giovanni Falcone intrattenesse un rapporto improprio “amichevole” con il collaboratore di giustizia che disvelò la struttura unitaria di Cosa nostra. Sarebbe stato un tradimento doppio, nel far coincidere l’uscita con l’anniversario della strage di Capaci.
In realtà, invece, nel suo snodarsi Il Traditore, visto intero, è un film scrupoloso nell’attenersi alla documentazione storica: la ricostruzione degli incontri tra Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta è fedele al racconto di Cose di Cosa nostra, la sorta di testamento che Falcone ha affidato alla penna di Marcelle Padovani, corrispondente di Le Nouvel observateur, negli ultimi mesi della sua vita: sempre il “Lei” tra giudice e collaboratore a segnare il riconoscimento della dignità all’uomo ancorché criminale e lo scarto che impedisce la confidenza; sempre un tavolo tra i due a segnare fisicamente la distanza, incomprimibile, tra i ruoli. Segni che corrispondono, cinematograficamente, allo stile di lavoro di Falcone. La stessa parola «traditore», scelta come titolo del film, si trova, tra virgolette a indicare il punto di vista dei Corleonesi, in quel libro di Giovanni Falcone.
Chi ha scritto e girato questo film ha, evidentemente, compiuto lo sforzo di attenersi alla realtà, e non soltanto all’atmosfera, fin dalla cosiddetta “astronave”: l’aula bunker di Palermo in cui si tenne il difficilissimo e storico primo grado del maxi-processo. Nelle scene che lo riguardano (nella foto la testimonianza di Buscetta) - oggi per tutti confrontabili con il reale grazie a youtube – c’è stato l'intento riuscito, filologico, di rendere la sostanza di quanto avvenuto là dentro, nelle parole e nei fatti: dalla garbata e complicata ma autorevole conduzione del presidente della Corte d’Assise Alfonso Giordano; alla protervia dei mafiosi dietro le gabbie.
Pur con licenze cinematografiche, inevitabili per un film che voglia restare tale senza sconfinare nel documentario; pur con qualche barocchismo che è da sempre cifra stilistica di Bellocchio ma che qui riesce funzionale a rendere una certa retorica della cultura mafiosa, Il traditore è un film che rispetta la sostanza, che ritrae un uomo complesso e controverso senza mai idealizzarlo, che lascia sospesa senza negarla la questione “morale” del cosiddetto pentitismo. Un film che in quanto tale non può pretendere di esaurire la complessità storica del fenomeno “Buscetta” ma che, nel chiaroscuro, non è l’agiografia di un mafioso.
Anche se, nel vederlo proprio il 23 maggio, quando è uscito, non è stato difficile capire quale spargimento di sale possano rappresentare le scene più crude sulle ferite di chi ha vissuto sulla pelle la disperazione per la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Forse di più perché assomigliano davvero alla realtà che hanno conosciuto.
(Prima pubblicazione 24 maggio 2019)