Prorfughi cristiani cacciati dall'area di Mosul dalle milizie fondamentaliste islamiche dell'Isil. Foto Reuters.
Lui gli aveva mandato una «lettera di lacrime» scritta «in mezzo a un grande branco di lupi feroci». Don Behnam Benoka, sacerdote di Bartella, piccola città cristiana della Piana di Ninive caduta nelle mani dell’Isis, aveva scritto al Papa: «Santità, la situazione delle tue pecorelle è miserabile, muoiono e hanno fame, i tuoi piccoli hanno paura e non ce la fanno più. Noi, sacerdoti, religiosi e religiose, siamo pochi e temiamo di non poter rispondere alle esigenze fisiche e psichiche dei tuoi e nostri figli. Vorrei ringraziarti tanto, anzi tantissimo, perché ci porti sempre nel tuo cuore, mettici lì sull’altare ove celebri la Messa affinché Dio cancelli i nostri peccati e abbia misericordia di noi, e magari tolga da noi questa calice». E concludeva: «Santità, temo di perdere i tuoi piccoli, soprattutto i neonati che ogni giorno s’indeboliscono di più, temo che la morte ne rapisca alcuni. Mandaci una tua benedizione per aver la forza di andare avanti e magari possiamo resistere ancora. Ti voglio bene».
Don Behnam, che è anche vicerettore del seminario cattolico, ora si trova a Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana a nord di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. Ci risponde dalla tenda in cui, con medici e volontari, assicura un primo soccorso medico ai profughi scampati dalla persecuzione.
Come ha potuto parlare con il Papa?
«Tramite il sistema di messaggistica Viber, ho mandato la lettera all’amico giornalista Alan Holdren, che era sul volo papale di ritorno dalla Corea e l’ha fatta avere al Papa. Francesco mi ha chiamato all’indomani del suo ritorno in Italia, il 19 agosto. In quel momento, mi trovavo in macchina e mi sono commosso; mi ha parlato con semplicità e misericordia, da padre, assicurando la preghiera per tutti noi, per i malati, il clero e i profughi».
Qual è la situazione adesso ad Ankawa?
«Ogni giorno è sempre peggio: la fatica aumenta, le nostre forze vengono meno. Ad Ankawa abitavano 15mila persone, ora si sono aggiunti 60-70mila profughi. Serve tutto, dal cibo ai materassi, mentre parchi, chiese, scuole, centri culturali e il nostro santuario di Mart Shmoni stanno ospitando gli sfollati. Molte famiglie hanno perso tutto, anche i documenti. C’è chi ha parenti uccisi o rapiti: ad una famiglia di Qaraqosh, fermata ad un check-point dell’Isil, hanno strappato la bambina di tre anni dalle braccia della madre. Nessuno ne ha più notizie, pregate per lei, per favore».
E nelle città della Piana di Ninive qual è la situazione?
«Pensiamo ogni momento alle nostre case, occupate e depredate dall’Isil, ma in alcuni casi anche da vicini di casa musulmani che credevamo buoni amici. Ho ricevuto una telefonata da Bartella, la mia città, di una donna che non è riuscita a scappare: è stata risparmiata perché, quando i miliziani sono entrati in casa, l’hanno riconosciuta come la loro professoressa e da allora la obbligano a cucinare per loro. Da Qaraqosh, dove avevamo il seminario diocesano ora trasferito ad Ankawa e unito a quello caldeo, le notizie sono ancora meno: chi non paga una sorta di tassa aggiuntiva, viene costretto a convertirsi o ucciso. Rimangono 60-70 cristiani, anziani, bambini e giovani ragazze, in molti casi vendute. I vecchi, non curati, vengono lasciati morire; ieri ci hanno chiamato per avvisarci della morte di uno di loro: lo avevano capito dalla puzza che usciva da casa».
Pensando al futuro, cosa dicono i profughi?
«Che vogliono chiedere asilo all’estero, in Australia, Europa e America, come in molti hanno già fatto. Altri sono andati in Libano, Giordania e Turchia per chiedere rifugio attraverso l’Unhcr, aspettano risposte. Quasi tutti pensano che il futuro in Iraq non sia più possibile: come potrebbero pensare altrimenti quando il vicino di casa, con cui coabitavi da anni, ti ha rubato tutto? Per molti cristiani, la cacciata dalla Piana di Ninive di questi giorni è la seconda dopo quella da Baghdad e altre zone dell’Iraq. Eppure la presenza delle Chiese orientali cristiane in Iraq è millenaria. Basti dire che la nostra Chiesa sirocattolica discende dalla comunità fondata dai santi Pietro e Paolo ad Antiochia e dalla successione apostolica di Sant’Ignazio, morto martire a Roma nel 107 d.C.; secondo gli Atti, per la comunità di Antiochia fu usato per la prima volta il termine “cristiani”. Ecco, la nostra Chiesa millenaria, che prega ancora nell’aramaico di Gesù, è in pericolo di cancellazione».
Come è stato possibile?
«Nei secoli, abbiamo subito varie persecuzioni e discriminazioni, ma è la guerra del 2003 che ha aggravato le cose. Aveva ragione Giovanni Paolo II, che vi si oppose fieramente. Da allora, i cristiani in Iraq sono passati da 1,4 milioni agli attuali 300 mila».