«Il Mediterraneo per me è uno spazio che unisce, non una frontiera che divide. Uno spazio in cui popoli e culture per tanti aspetti molto simili tra loro possono vivere insieme in uno spirito di fratellanza». Per uno che è stato a lungo nel Sud della Francia e vive da vent’anni nel Nord dell’Algeria, il Mare Nostrum è qualcosa di molto familiare. Qualcosa che unisce: Nord e Sud, ma non solo, anche Oriente e Occidente. È con questa convinzione che monsignor Jean-Paul Vesco, domenicano francese, arcivescovo di Algeri dallo scorso 11 febbraio, parteciperà all’incontro dei vescovi e sindaci del Mediterraneo, che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e si concluderà con la visita di papa Francesco.
Un’occasione, dopo un primo incontro a Bari nel febbraio 2020, per rilanciare «il desiderio di aiutare il Mediterraneo a tornare a essere quello che fu, cioè luogo di unità e non di conflitto, di sviluppo e non di morte», come ha sottolineato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Ma anche per scrivere un nuovo capitolo dei dialoghi del Mediterraneo promossi profeticamente dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira oltre mezzo secolo fa. «Le frontiere», ne è convinto monsignor Vesco, «sono quelle che costruiamo noi. Ma sono frontiere artificiali che non possono funzionare. Sono e saranno il vero problema. Per me, invece, la sfida è quella di ritrovare un’identità mediterranea comune».
Terra di testimonianza
Lui l’ha fatto da giovane domenicano arrivato in Algeria sulla scia del confratello Pierre Claverie, vescovo di Orano, ucciso il primo agosto 1996, ultimo dei 19 martiri cristiani di quella terra, funestata del terrorismo jihadista. «Non l’ho mai conosciuto di persona. A quel tempo ero in noviziato», ricorda il vescovo che fu avvocato: una vocazione maturata in un lungo periodo di ricerca e discernimento, con il desiderio di annunciare il Vangelo che è diventato sempre più evidente, sino alla scelta di entrare nell’ordine dei Frati predicatori, i Domenicani. Per poi finire in Algeria dove l’annuncio del Vangelo è fatto unicamente di testimonianza.
Oggi, alla soglia dei sessant’anni, ricorda di come, all’indomani del funerale di Pierre Claverie, avesse sentito «qualcosa di misterioso, un legame profondo con quell’uomo che mi ha spinto a rispondere a una chiamata che mi portava proprio qui». «Occorre mettere al centro il tema della fratellanza, che è un cammino, un’audacia e un’urgenza», insiste questo vescovo dinamico e affabile, responsabile di una piccolissima comunità cristiana in dialogo con i fratelli musulmani, ma anche in bilico tra Africa subsahariana e Mediterraneo.
È un po’ anche il suo “manifesto” da neoarcivescovo di Algeri, dove succede a monsignor Paul Defarges, gesuita 77enne. «Una fratellanza che viviamo innanzitutto con gli abitanti di questo Paese con cui abbiamo scelto di vivere. È questa la vocazione più particolare e specifica della nostra Chiesa, anche se non è sempre facile superare i pregiudizi e le ferite della storia».
Chiamata in Algeria
Personalmente, questa fratellanza monsignor Vesco l’ha sempre vissuta come una vera e propria “alleanza”.
«Ho sentito che doveva essere così già vent’anni fa, quando sono arrivato in Algeria e ho stretto un’alleanza con questo Paese, la sua popolazione e la sua Chiesa. È stato molto doloroso per me andarmene nel 2010 quando sono stato eletto priore provinciale dei Domenicani francesi. Ma quando sono tornato da vescovo di Orano nel 2012 ho sentito che sarebbe durata per sempre». A maggior ragione lo sarà ora che si è insediato ad Algeri:
«Un grande salto», ammette, «e una grande responsabilità. Ma come domenicano sono convinto che la nostra è una vita donata. Per questo affronto questa nuova missione anche come una grazia, e come una possibilità forte e bella di rinnovamento».
Le speranze dei migranti
Con un duplice sguardo: quello verso Sud perché – sostiene – la vera frontiera naturale è il Sahara. Che è anche una frontiera di tanti conflitti e crisi, che spingono le persone a spostarsi. È la frontiera di migliaia di migranti che passano numerosi anche attraverso l’Algeria. E uno sguardo verso Nord, perché sono molti anche i giovani algerini che inseguono un sogno oltre il Mediterraneo. «Noi viviamo la fratellanza con i migranti subsahariani soprattutto quando andiamo a trovarli nelle carceri e creiamo relazioni che ci mettono in discussione in profondità, aiutandoci anche a disfarci del senso di superiorità di colui che è in posizione di aiuto per entrare in una relazione di maggior alterità».
Ma c’è un altro volto delle migrazioni in Algeria: quello dei giovani africani che studiano nelle università del Paese e che spesso sono cristiani. Sono loro, probabilmente, a rappresentare il volto più dinamico della Chiesa d’Algeria oggi. E spesso sono anche protagonisti privilegiati della costruzione di legami di conoscenza e amicizia nei luoghi di vita, studio e lavoro. «Sono le stesse potenzialità che vedo nel dialogo interreligioso: ci sono aspetti positivi che possono servire a dare chiavi di lettura e di soluzione, ma sempre nel confronto e nell’incontro. Sono convinto che il dialogo tra credenti cristiani e musulmani possa avanzare proprio e soprattutto nella dimensione della fraternità».
L'avvocato diventa missionario
Prima di entrare nell’ordine dei Domenicani, Jean-Paul Vesco ha svolto per alcuni anni la professione di avvocato a Parigi. Nato il 10 marzo 1962 a Lione, ha emesso i voti solenni nell’ordine dei Frati predicatori nel 1996 e nel 2001 è stato ordinato prete. Dopo gli studi in Francia e a Gerusalemme, ha svolto la sua missione quasi sempre in Algeria nella diocesi di Orano, di cui nel 2005 è stato nominato vicario generale e nel 2009 economo. Nel 2010 è rientrato in Francia dove era stato eletto provinciale dei Domenicani ma già nel 2012 papa Benedetto lo ha nominato vescovo di Orano. Francesco lo ha trasferito alla guida dell’arcidiocesi di Algeri, in cui ha fatto l’ingresso l’11 febbraio 2022.