(Foto Ansa: un cristiano prega davanti alla Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, chiusa durante la pandemia del Covid)
Il successo di questa canzone del ventiquattrenne Master KG, in collaborazione con Nomcebo, desta stupore per diversi motivi. Innanzitutto la lingua venda (una variazione del dialetto bantu del Sudafrica e dello Zimbabwe). Come può una parlata così periferica acquisire una valenza e un interesse globali? Evidentemente perché fa vibrare delle corde per le quali forse non è tanto necessario sapere quanto percepire. E comunque, poiché anche il sapere è importante, non sarà fuori luogo se ai nostri ragazzi vengano comunicati anche i contenuti di ciò che cantano e danzano. Magari non leggeranno Famiglia cristiana, ma qualche genitore o qualche nonno illuminato potrà loro aprire gli occhi del pensiero perché apprendano che il loro canto e la loro danza non sono affatto banali e che si ispirano alla Bibbia:
Gerusalemme è la mia casa,
guidami,
portami con te
non lasciarmi qui
Gerusalemme è la mia casa
guidami,
portami con te,
non lasciarmi qui
Il mio posto non è qui,
il mio Regno non è qui
guidami
portami con te
il mio posto non è qui
il mio Regno non è qui
guidami
portami con te
guidami
guidami
guidami
portami con te
Comunque, anche coloro che non capiscono tutte le parole, intuiscono almeno che si tratta di Gerusalemme, la città in cui si rappresenta insieme il luogo del mistero pasquale e l’utopia del futuro. Una utopia, appunto, ossia un non luogo, perché chi canta si sente e si percepisce spaesato: “il mio posto non è qui”. Un fuori luogo, che rappresenta anche una critica al luogo. Pura evasione, si potrebbe insinuare, oppure, come ci piace credere, desiderio di qualcos’altro che non sia dato in questo presente e in questa situazione? “Il mio regno non è qui”, lo dice Gesù di Nazareth e la parola, al di là di ogni esegesi, dice un essere oltre, un essere altrimenti.
Qualcuno scrive che si tratta di una preghiera (“portami con te!”) e, come scriveva papa Benedetto nella Spe salvi, la preghiera allarga il desiderio. E, se questa dei nostri ragazzi è preghiera, forse supera di gran lunga le nostre preghiere e devozioni convenzionali e raggiunge il cuore di un Dio, dal quale l’autore chiede di essere “guidato” (“guidami!”), ripetendo in maniera martellante la sua invocazione.
E Gerusalemme è la città delle tre fedi: un’utopia anche questa, ma che chiede attenzione e partecipazione a un dinamismo di dialogo che davvero ne faccia la “città della pace”, invocata, pensata, ma anche perseguita da chi non resta sordo al grido e alla danza di questi ragazzi.