Dopo due anni di massacri sul campo e di una gestione politica della crisi disastrosa da parte delle cancellerie, sul dramma della Siria è forse caduta la goccia che farà traboccare il vaso. Dal
primo giugno, infatti, i Paesi dell'Unione Europea sono liberi, se lo
vorranno, di vendere armi agli insorti anti-Assad, per effetto delle
divisioni emerse al vertice dei ministri degli Esteri della Ue: era
infatti in vigore un embargo che, per essere confermato, richiedeva una
decisione unanime dei 27 Paesi. Gran Bretagna e Francia si sono opposte,
la mediazione di Germanie e Italia non è andata a buon fine e quindi
liberi tutti.
Gli Usa, sempre in cerca di alleati con cui dividere la gestione
della crisi, hanno applaudito, confermando la storica incapacità
americana di guardare al Medio Oriente con una prospettiva un po' più
ampia delle esigenze del giorno. Da molto tempo, infatti,
quella che si combatte in Siria non nè più la guerra dei buoni contro i
cattivi, degli insorti che si battono contro un regime odioso per avere
libertà e democrazia. Questa era la fase iniziale del conflitto, la fase
in cui Usa, Francia, Gran Bretagna, Israele e Turchia sono rimaste a
guardare, convinte che Bashar al Assad e il suo regime sarebbero presto
caduti.
Invece Assad è ancora in sella e, anzi, le sue truppe stanno riguadagnando terreno.
Nel frattempo, il fronte degli insorti è stato ampiamente "inquinato"
dai gruppi armati dell'estremismo sunnita che si ispoira ad Al Qaeda.
Gli stessi che colpiscono pesantemente in Irak (oltre mille civili
assassinati nel solo mese di maggio) a colpi di autobomba. Mentre
l'Esercito libero siriano è diviso dalle rivalità tra i leader e le
fazioni.
In questo quadro, pensare di vendere armi agli insorti è quasi
una follia. Nessuno può davvero prevedere a chi finiranno quelle armi:
è più che concreta la possibilità che vadano a rinforzare gli arsenali
dei terroristi filo-Al Qaeda, rendendo ancor più cruenta la situazione
sul campo. Una volta consegnate, inoltre, le armi potrebbero facilmente
uscire dalla Siria e andare ad alimentare ulteriori conflitti in Paesi
già fortemente turbati. La Siria confina con Turchia, Irak, Israele,
Giordania e Libano, con tutte le sue fiamme è piazzata al centro di una
vera polveriera. Incredibile che si voglia rischiare in questo modo.
Per finire, ci sono le conseguenze internazionali. La Russia ha già risposto alla Ue incentivando le forniture di missili anti-aereo S-300. La cosa ha fatto infuriare Israele, che
del dominio dei cieli ha fatto il proprio punto forte nella difesa dei
confini nazionali, anche rispetto alla prospettiva di ritrovarsi i
seguaci di Al Qaeda sul Golan. Nel frattempo, Qatar e Arabia Saudita,
non indifferenti ma al contrario lieti di poter dare una mano anche
all'estremismo sunnita, continuano a fornire agli insorti siriani ,
attraverso la Turchia, tonnellate e tonnellate di cannoni e
mitragliatrici, oltre ovviamente al supporto dei servizi segreti.
Nell'insieme, è come se per spegnere un incendio si buttassero tra le
fiamme una grande quantità di fascine.