Caro don Stefano, vorrei esprimere un parere discordante sulla risposta da lei data a Francesca intorno ai mali della Chiesa. Anch’io penso che la responsabilità sia soprattutto dei presbiteri. Intanto perché la Chiesa è una struttura gerarchica e il potere decisionale all’interno delle parrocchie è espresso esclusivamente da loro, che decidono l’orientamento catechetico e che danno o tolgono incarichi ai laici, ecc. Sono un’insegnante di scuola primaria ormai prossima alla pensione e con occhio da insegnante guardo alla capacità e volontà della gerarchia di trasmettere al popolo l’immenso patrimonio custodito in termini di scienza della Parola di Dio e scienza della fede.
Dal dopoguerra ad oggi lo Stato ha fatto una immane opera di alfabetizzazione per estirpare dal Paese il seme dell’ignoranza. Mi chiedo quale sforzo abbiano fatto vescovi e presbiteri per estirpare il seme dell’ignoranza religiosa. Mi chiedo se questo sia stato uno degli obiettivi fondamentali o piuttosto non si sia pensato a mantenere il già avuto, sazi della presenza di fedeli alle Messe e di bambini al catechismo. E ora che di fedeli alle Messe se ne vedono pochi e niente e i bambini dopo la Cresima vanno via, che fare? A mio parere bisogna stare in umile e attento ascolto per cogliere i segni dei tempi. Si vedono in giro pochi adulti nella fede, si continuano a battere i sentieri di una fede devozionale che non ha niente da dire alle giovani generazioni.
I tempi vissuti da Francesca li ho vissuti anch’io, il post Concilio, il fiorire di gruppi, l’esperire di nuovi modi di stare insieme a fare Chiesa, la primavera a dello Spirito! E adesso? Io vorrei che quei tempi tornassero, ma non per nostalgia, ma perché proponevano modelli credibili che la Chiesa non ha saputo o voluto sviluppare, ripiegandosi invece sul già noto per paura del nuovo.
Grazie della tua critica costruttiva, cara amica. Nella mia risposta a Francesca volevo ampliare l’orizzonte di problematicità rispetto alla crisi che vive oggi la Chiesa e andare oltre ai limiti dei preti (tanti, pochi? Non so, sicuramente quelli per i quali il Concilio non è mai arrivato e il Sinodo è questo grande sconosciuto). Certamente, come dici tu, occorre un modello credibile di Chiesa per il mondo di oggi, che registra un cambiamento radicale del contesto sociale e comunicazionale. Lo ripete a ogni pie’ sospinto papa Francesco e noi lo verifichiamo ogni giorno nella nostra vita. Ma cambiare come? Nel 1969, proprio mentre si stava cominciando a vivere quella straordinaria stagione postconciliare a cui tu fai riferimento, l’allora teologo Joseph Ratzinger, guardando al futuro, sorprendentemente disse:
«Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, ma la Chiesa della fede».
Forse il futuro papa Benedetto pensava ai primi secoli dopo Cristo e alle invasioni dei barbari che, mentre radevano al suolo tutto quello che trovavano, lasciarono però fecondare la loro cultura dal cristianesimo, sopravvissuto in piccoli nuclei soprattutto grazie ai Benedettini, dando di fatto vita ai primi vagiti dell’Europa come la conosciamo oggi. Ratzinger – in una specie di “opzione Benedetto” ante litteram – immaginava una ripartenza dall’essenziale.
Don Armando Matteo, il teologo che citavo nella mia risposta, nel suo ultimo volume Opzione Francesco (San Paolo) propone dal canto suo alcune scelte di fondo per l’oggi: mettere al centro la gioia del Vangelo, essere protagonisti di creatività e capaci di assumere nuove iniziative, coltivare la prassi e i sogni di una fraternità aperta a tutti, saper ritornare allo sguardo misericordioso di Gesù.
«Procedere secondo l’opzione Francesco, tuttavia, non sarà un’operazione semplice e indolore. Tutt’altro. Lasciare il “si è sempre fatto così” richiederà ai credenti e soprattutto ai loro pastori audacia, coraggio, pazienza e tantissimo amore per il Vangelo e per l’umanità», spiega l’autore.
Qualsiasi opzione si apra oggi, sacerdoti e laici, popolo di Dio in cammino, non potranno non ripartire da qui. Pena l’irrilevanza.