Il professore Marco Lombardi
«Il discorso allo stadio Luzhniki di Mosca di Putin è un tassello importante di questa guerra che si sta combattendo attraverso l’informazione e le narrative contrapposte. Lo stile del presidente russo, rispetto al leader ucraino Zelensky, è più analogico e meno mediatizzato. La grandeur imperiale viene declinata dietro la scrivania con discorsi lunghi oppure allo stadio con un discorso di pochi minuti e un bagno di folla».
È il commento del professore Marco Lombardi, sociologo dei media e docente di Teorie e tecniche della comunicazione mediale e Comunicazione e informazione per la sicurezza all’Università Cattolica di Milano, sul discorso che Vladimir Putin ha tenuto davanti a un pubblico in festa, con molte persone con la lettera “Z”, divenuta simbolo dell'invasione, disegnata sulle giacche. Dietro di lui un coro ha iniziato a cantare tra gli applausi e i fuochi di artificio. L'immagine che Mosca ha voluto rimandare è stata quella di un Paese felice e orgoglioso dell'operazione in corso.
Cominciamo dall’outfit. Putin si è presentato in maglioncino e giacca a vento e non nella grisaglia istituzionale giacca e cravatta.
«È la classica tenuta da stadio. Collo alto di colore chiaro e una folla di ragazzi plaudenti con la bandiera russa tra le mani. Non è chiaro come siano arrivati allo stadio. Da alcune interviste raccolte prima che entrassero, molti, soprattutto i ragazzi delle scuole, sono stati portati lì apposta con le bandiere. In ogni caso questa cerimonia s’incastra perfettamente con la strategia comunicativa di Putin che va dalla scrivania allo stadio».
Ha tenuto un discorso insolitamente breve.
«Mi verrebbe da dire, con una battuta, che Putin conosce i suoi polli. Quando parla dietro la scrivania tiene discorsi lunghi anche di due ore. In questo caso, in uno stadio, sapeva benissimo che non poteva dilungarsi. Pochi minuti di discorso la folla li “sopporta”, diciamo così, perché in un contesto del genere non bisogna ragionare ma emozionarsi, aizzare, applaudire. La brevità nello stadio premia sempre».
Un discorso brevissimo ma intenso con la citazione del Vangelo di Giovanni in cui Gesù che “nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”.
«La citazione biblica la trovo molto interessante perché sostanzialmente corrobora e rafforza la lettura di questo conflitto data dal Patriarca di Mosca Kirill: una guerra metafisica, contro i vizi dell’Occidente e per difendere tutti i russi in giro per il mondo da quello che Putin ha definito “genocidio”. Quando Kirill disse queste parole molti intellettuali cattolici, a cominciare da La Civiltà Cattolica, sottolinearono che non ci voleva questo riconoscimento del Patriarca perché era esattamente la copertura che il potere imperiale del Cremlino chiedeva a questa guerra. Putin allo stadio non ha fatto altro che recuperare e rilanciare per l’ennesima volta questa dimensione religiosa del conflitto».
A un certo punto c’è stato un curioso fuoriprogramma. Un’interruzione dello “show” quanto Putin stava dicendo: “Per pura coincidenza l'inizio dell'operazione speciale è stato il giorno del compleanno di…”. Come se lo spiega?
«Si tratta di un particolare molto interessante perché, sulle prime, tutti ci siamo chiesti com’è possibile che ci sia un’interruzione mentre parla il presidente, con la frase lasciata a metà e l’inserimento di un gruppo musicale. La prima cosa che ho pensato è che fosse tutto montato e preregistrato e che l’inconveniente tecnico alla fine ha svelato tutto».
Chi stava citando Putin quando le immagini si sono interrotte?
«Qui siamo al campo delle dietrologie. Secondo alcuni commentatori, come il corrispondente del Financial Times, il presidente russo avrebbe fatto il nome di Fyodor Ushakov».
Chi è?
«Ushakov è stato il più grande ammiraglio di tutti i tempi della marina russa, molto impegnato e vittorioso nelle zone dove si combatte oggi. I primi successi li ha ottenuti nel mar d'Azov, nel Donbass, alla fine del Settecento. Poi è andato a occuparsi della base di Sebastopoli, in Crimea. Ushakov nella narrazione di questa guerra cade a pennello e, particolare fondamentale, è stato canonizzato dalla chiesa ortodossa russa dopo che nel 1944 fu trovato il cadavere ancora integro nella bara e questo fu interpretato come segno della benevolenza divina. Di nuovo trono e altare, potere politico e potere religioso che suggellano la narrativa della guerra metafisica. Ma c’è di più. Ushakov non è soltanto il più grande ammiraglio venerato dalla chiesa ortodossa di Mosca ma è anche il santo patrono dei bombardieri nucleari e della flotta nucleare della Russia dopo la proclamazione nel 2005 da parte di Alessio II, il predecessore di Kirill».
Sulla questione nucleare Putin ha voluto fornire un minaccioso messaggio in codice all’Occidente?
«Chissà. Forse sì ma siamo nel campo della dietrologia. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, citato dall'agenzia di stampa russa Ria Novosti, ha ridimensionato l'interruzione affermando che sarebbe stata causata da un banale "guasto tecnico al server"».
Questa è una guerra combattuta anche a colpi di fake news. Come orientarsi in questa situazione?
«Ai miei studenti ho detto di applicare due principi. Quello di massima cautela, ossia considerare falsa ogni informazione fino a prova contraria e quello di efficienza, considerare vera nei suoi effetti ogni affermazione per l’audience a cui si riferisce».
La prima è chiara, la seconda un po’ meno.
«La verità con la V maiuscola non esiste, ciascuno è disposto a credere in quello che vuole. Le informazioni sono costruite per essere accettate come vere da chi crede nella fonte che le distribuisce. La narrativa di questo conflitto è alimentata dai partiti presi e dalle opposte tifoserie che in una guerra sono sempre un dramma perché amplificano il male e il danno. Il tifoso ragiona di pancia, le narrative in guerra servono a far crescere la partecipazione, ma non puoi governare il conflitto con l'istinto e l'emozione».