Comincia nel segno del dialogo interreligioso, della tutela dei migranti e dell’ambiente il 28esimo viaggio internazionale di papa Francesco. Già al mattino, lasciando Santa Marta, Francesco aveva salutato due famiglie marocchine ospitate da sant’Egidio e aveva inviato al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il consueto telegramma di saluti auspicando che «l’Italia possa tenere sempre alta la tensione verso i valori etici e spirituali della persona e della convivenza sociale, ricercando, con sforzo concorde soluzioni ispirate alla solidarietà» .
Atterrato a Rabat, sotto quella pioggia che, come già avevano spiegato negli Emirati arabi, è segno di benedizione, Francesco è stato accolto con datteri e latte di mandorla, come è tradizione dell’ospitalità marocchina, e da un popolo molto caldo che si è assiepato lungo i 9,7 chilometri che separano l’aeroporto dalla spianata della Tour Hassan. La papa mobile scoperta e la macchina in cui viaggiava il re Mohammed VI sfilavano appaiate salutando la folla.
Il re, nel discorso di saluto segnala subito che la visita di papa Francesco segna una «apertura e una fertilizzazione reciproca ed è un simbolo di equilibrio. Volutamente ci siamo trovati qui tra Mediterraneo e Atlantico perché sia un simbolo di scambio tra Africa e Europa. Abbiamo voluto che questa sua visita sia un segno di speranza».
Parla di radicalismo ricordando che esso nasce dall’ignoranza e che per combatterlo la vera arma è l’educazione. Un discorso lungo in cui mette l’accento anche «sulla lotta alla povertà, alla corruzione, ai cambiamenti climatici e a tutto ciò che minaccia le nostre società» che deve vedere insieme cristiani musulmani ed ebrei per un «messaggio comune rivolto a tutta l’umanità».
Papa Francesco ringrazia per le parole e «per l’affettuosa accoglienza» e ricorda che «questa visita è per me motivo di gioia e gratitudine perché mi consente anzitutto di scoprire le ricchezze della vostra terra, del vostro popolo e delle vostre tradizioni. Gratitudine che si trasforma in importante opportunità per promuovere il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca tra i fedeli delle nostre due religioni, mentre facciamo memoria – ottocento anni dopo – dello storico incontro tra San Francesco d’Assisi e il Sultano al-Malik al-Kamil».
Un evento profetico, quello che indica «una via di pace e di armonia per l’umanità, là dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione».
È invece la collaborazione che può consentire di approfondire quei «nostri legami di amicizia sincera, per consentire alle nostre comunità di preparare un futuro migliore alle nuove generazioni».
Anche papa Francesco mette l’accento su una terra che è «ponte naturale tra l’Africa e l’Europa» e da cui si può dare nuovo «impulso alla costruzione di un mondo più solidale, più impegnato nello sforzo onesto, coraggioso e indispensabile di un dialogo rispettoso delle ricchezze e delle specificità di ogni popolo e di ogni persona».
Il dialogo, come aveva già detto il re, è «essenziale» per «partecipare all’edificazione di una società aperta, plurale e solidale», per «sviluppare e assumere costantemente e senza cedimenti la cultura del dialogo come strada da percorrere». Richiama la dichiarazione sulla fratellanza umana, firmata ad Abu Dhabi per ricordare che le due religione hanno stabilito, in quel documento «la collaborazione come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio».
In questo viaggio in Marocco che, come ha detto in aereo nel volo che lo portava a Rabat, rappresenta «un altro passo in avanti dopo Abu Dhabi», papa Francesco si augura di riuscire ad « aprire la strada a uno spirito di collaborazione proficua e rispettosa» perché è «indispensabile opporre al fanatismo e al fondamentalismo la solidarietà di tutti i credenti, avendo come riferimenti inestimabili del nostro agire i valori che ci sono comuni».
In questa prospettiva diventa importante la visita del papa all’Istituto Mohammed VI per imam, predicatori e predicatrici, istituto voluto dal re per «fornire una formazione adeguata e sana contro tutte le forme di estremismo, che portano spesso alla violenza e al terrorismo e che, in ogni caso, costituiscono un’offesa alla religione e a Dio stesso».
Riconoscendo le differenze e la dignità di ciascuno papa Francesco ricorda i diritti inalienabili di ogni essere umano e ribadisce che «noi crediamo che Dio ha creato gli esseri umani uguali in diritti, doveri e dignità e che li ha chiamati a vivere come fratelli e a diffondere i valori del bene, della carità e della pace. Ecco perché la libertà di coscienza e la libertà religiosa – che non si limita alla sola libertà di culto ma deve consentire a ciascuno di vivere secondo la propria convinzione religiosa – sono inseparabilmente legate alla dignità umana».
Per questo, come già era stato sottolineato nell’incontro con il grande imam Al Tayebb in Egitto e poi di nuovo ad Abu Dhabi, bisogna sostituire alla «semplice tolleranza» il rispetto, la stima e il riconoscimento dei diritti degli altri. «Si tratta», dice ancora Francesco, «di scoprire e accogliere l’altro nella peculiarità della sua fede e di arricchirsi a vicenda con la differenza, in una relazione segnata dalla benevolenza e dalla ricerca di ciò che possiamo fare insieme».
Il dialogo interreligioso allora diventa davvero convivialità, amicizia e fraternità. Il Papa cita la Conferenza internazionale sui diritti delle minoranze religiose nel mondo islamico, tenutasi a Marrakech nel gennaio 2016 che «ha affrontato tale questione. E mi rallegro che essa abbia permesso di condannare qualsiasi uso strumentale di una religione per discriminare o aggredire le altre, sottolineando la necessità di andare oltre il concetto di minoranza religiosa in favore di quello di cittadinanza e del riconoscimento del valore della persona, che deve rivestire un carattere centrale in ogni ordinamento giuridico». Plaude anche alla creazione, nel 2012 per iniziativa cattolica e protestante, dell’Istituto Ecumenico Al Mowafaqa, a Rabat, - che definisce «segno profetico» -, e che «vuole contribuire alla promozione dell’ecumenismo, come pure del dialogo con la cultura e con l’Islam. Questa lodevole iniziativa esprime la preoccupazione e la volontà dei cristiani che vivono in questo Paese di costruire ponti per manifestare e servire la fraternità umana».
Tutte queste iniziative e percorsi, cita ancora dal documento di Abu Dhabi, «fermeranno la “strumentalizzazione delle religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo o al fanatismo cieco e porranno fine all’uso del nome di Dio per giustificare atti di omicidio, esilio, terrorismo e oppressione”».
E insieme le religioni potranno dare anche un segno concreto di rispetto dell’ambiente, della «nostra casa comune». La Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici, COP 22, «tenutasi pure qui in Marocco, ha attestato ancora una volta la presa di coscienza di molte Nazioni della necessità di proteggere il pianeta in cui Dio ci ha posto a vivere e di contribuire a una vera conversione ecologica per uno sviluppo umano integrale. Esprimo apprezzamento per tutti i passi avanti compiuti in questo campo e mi rallegro della messa in atto di una vera solidarietà tra le Nazioni e i popoli, al fine di trovare soluzioni giuste e durature ai flagelli che minacciano la casa comune e la sopravvivenza stessa della famiglia umana».
E ancora in Marocco si è tenuta, a dicembre 2018, la Conferenza intergovernativa sul Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare. In quell’occasione è stato adottato un documento (che l’Italia non ha firmato) come punto di riferimento per la comunità internazionale. Documento che il Papa loda anche se chiede che «gli impegni presi con quel documento, almeno a livello morale» passino «ad azioni concrete», che si attui un «un cambiamento di disposizione verso i migranti, che li affermi come persone, non come numeri, che ne riconosca nei fatti e nelle decisioni politiche i diritti e la dignità».
Nel discorso, più volte interrotto da applausi, il Papa ricorda che ha «a cuore la sorte, spesso terribile, di queste persone, che, in gran parte, non lascerebbero i loro Paesi se non fossero costrette. Spero che il Marocco, che con grande disponibilità e squisita ospitalità ha accolto quella Conferenza, vorrà continuare ad essere, nella comunità internazionale, un esempio di umanità per i migranti e i rifugiati, affinché essi possano essere, qui, come altrove, accolti con umanità e protetti, si possa promuovere la loro situazione e vengano integrati con dignità. Quando le condizioni lo consentiranno, essi potranno decidere di tornare a casa in condizioni di sicurezza, rispettose della loro dignità e dei loro diritti». Quello migratorio, dice Francesco è «un fenomeno che non troverà mai una soluzione nella costruzione di barriere, nella diffusione della paura dell'altro o nella negazione di assistenza a quanti aspirano a un legittimo miglioramento per sé stessi e per le loro famiglie. Sappiamo anche che il consolidamento di una vera pace passa attraverso la ricerca della giustizia sociale, indispensabile per correggere gli squilibri economici e i disordini politici che sono sempre stati fattori principali di tensione e di minaccia per l’intera umanità».
Infine un incoraggiamento per i circa 25 mila cattolici presenti nel Paese. Una piccolissima comunità che, però, fanno «la loro parte nell’edificazione di una nazione solidale e prospera, avendo a cuore il bene comune del popolo. Da questo punto di vista, l’impegno della Chiesa Cattolica in Marocco, nelle sue opere sociali e nel campo dell’educazione attraverso le sue scuole aperte agli studenti di ogni confessione, religione e origine, mi sembra significativo. Per questo, mentre rendo grazie a Dio per il cammino fatto, permettetemi di incoraggiare i cattolici e i cristiani ad essere qui, in Marocco, servitori, promotori e difensori della fraternità umana».