(Nella foto in alto: una scena di Westworld)
C’è aria di famiglia nella fantascienza, anche se magari lo spettatore si sofferma piuttosto sugli aspetti ludici e gli effetti speciali. Basti pensare al profondo legame di Dolores con suo padre nella serie Westworld. Dove tutto è lecito, ispirata al film Il mondo dei robot del 1973 e andata in onda su Sky, per ora in due stagioni. Un legame da cui prende vita la presa di coscienza dell’adorabile fanciulla della prima serie, che diviene ribelle verso un mondo di umani, caratterizzato da inaudita crudeltà. Dolores non esiterà ad entrare nel cranio di suo padre per appropriarsi della chiave che potrà consentirle di accedere ai segreti dell’Oltre Valle. Ma ancora più significativa la ricerca da parte di Maeve della figlia spingendosi fino ai confini del proprio mondo. E ancora Emily, la figlia di William, che reputa il padre colpevole del suicidio della madre e impiega le sue energie per scoprire la verità che ha portato al gesto estremo. Rapporti complessi, ma determinanti, all’interno di una narrazione spesso inquietante, dalla quale gli umani non escono bene rispetto a ciò che hanno inventato per poter soddisfare i propri capricci. Tema dominante di questo interessante prodotto è quello della coscienza e degli esiti cui conduce, allorché ai accende nel mondo artificiale delle macchine.
Alquanto interessante, al netto dei madornali errori di astrofisica, da più parti rilevati e di cui nel web si trova ampia documentazione, la ricerca del padre nel recente film Ad astra, diretto da James Gray e interpretato da Brad Pitt. Un padre che si allontana alla ricerca di vite intelligenti in lontani pianeti. Il figlio Roy, mentre lo cerca, tende anche ad emularne le favolose gesta, ma dovrà ricredersi e rientrare dallo spazio sulla terra, avendo imparato da questo viaggio ad apprezzare la vita così com’è, tornando agli affetti veri e ai sentimenti genuini presenti nella sua esistenza, prima di partire.
In un contesto post-apocalittico si situa la vicenda di I am Mother (produzione Netflix, con la regia di Grant Sputore), dove una bimba viene allevata ed educata da una madre robot, che vive in un’asettica dimora-laboratorio, dove sono conservati diversi embrioni umani. L’androide si propone di dare alla luce un’umanità migliore con una pedagogia che sembra impeccabile e, in quanto tendente alla perfezione, distrugge gli esseri umani che ha fatto nascere, nel momento in cui percepisce che non sono all’altezza della finalità che intende perseguire. L’arrivo nella dimora-laboratorio di un essere umano (donna reale) sconvolgerà i piani e condurrà ad un finale aperto, che forse è meglio non rivelare. Interessante sottolineare che sia la madre robot, sia la figlia umana non hanno nomi, ma si rivolgono l’una all’altra semplicemente chiamandosi “madre” e “figlia”, ossia con i loro ruoli o funzioni.
La scorsa estate abbiamo avuto modo di assistere alla prima serie russa, prodotta da Netflix, Better than us (Meglio di noi), dove il robot di nome Arisa, con la sua empatia e la capacità di infrangere le leggi, dettate da Asimov (si veda a tal proposito Io robot), è ossessionata dall’idea di famiglia alla cui tutela e custodia dedica tutta se stessa, compiendo gesti estremi e mostrando di saper essere e agire molto meglio degli umani.
Infine le due stagioni di Lost in space, ci hanno proposto i Robinson (nome fortemente simbolico) come una famiglia che parte da una profonda crisi nella coppia, per ritrovare unità e sinergia nel viaggio che dovrebbe condurli a un nuovo mondo, in quanto la terra risulta ormai inospitale. Il figlio più piccolo, Will, che ha due sorelle di cui una adottata dal padre, perché figlia solo della madre, non sarebbe dovuto salire a bordo della Jupiter, in quanto non idoneo, ma la madre riuscirà a falsificare i risultati del test e a portarlo comunque nello spazio, tenendo così unito il nucleo familiare. Il ruolo del piccolo Will sarà decisivo nell’incontro con l’androide extraterrestre, con cui farà amicizia. Sono infatti le giovani generazioni quelle che attiveranno, e in un certo senso già attivano, un rapporto simpatetico e costruttivo con la civiltà delle macchine. La figura del padre, in particolare in relazione a Will, ma comunque a tutti e tre i giovani figlioli e la ritrovata simbiosi con la sua sposa, risulta fondamentale in tutta la vicenda, rivelando autorevolezza e tenerezza nello stesso tempo. Inquietante e ostile, la presenza della dottoressa Smith, che semina zizzania e tende a mettere in rilievo crepe e limiti. Tale comportamento si giustifica con una storia familiare devastante e devastata, ma anche per lei c’è speranza, come lo spettatore avrà modo di cogliere in chiusura di stagione.
Luci e ombre della famiglia trovano, come si può constatare da questi paradigmi esemplari, uno specchio nell’universo fantascientifico, dove si proiettano paure, ansie, desideri e attese di donne e uomini reali e contemporanei, che, almeno in queste rappresentazioni, stentano ad immaginare un futuro senza famiglia e a ricondurre a questa fondamentale esperienza i loro sogni.