Si è conclusa il 22 giugno scorso la Settimana estiva di formazione 2010 sul tema "Dal
noi della famiglia al noi del bene comune" organizzata dall'Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia e dall'Ufficio
Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI con la collaborazione del Forum delle
Associazioni Familiari, che proprio in quei giorni ha tenuto la sua Assemblea nazionale.
A Senigallia per 4 giorni si sono ritrovate circa 540 persone, tra cui 90 bambini: politici, sacerdoti, religiosi e religiose, famiglie. Fra questi molti direttori diocesani della pastorale sociale e familiare.
Una buona partecipazione sia come numero, dunque, ma anche come coinvolgimento personale. Il Convegno, che si è inserito nel percorso di preparazione al Congresso
Eucaristico Nazionale che sarà celebrato nelle Marche l'anno venturo, ha avuto come obiettivo, come si legge nel comunicato ufficiale della Cei, quello di approfondire la dimensione teologica del matrimonio "come sacramento che costruisce la Chiesa e contribuisce al bene della
società", di richiamare il ruolo sociale della famiglia sottolineando "che l'amore è un bene comune e che
l'esperienza della famiglia è chiamata ad uscire dal privato per
assumere la consapevolezza di essere una ricchezza sociale", di offrire
un contributo alle famiglie per l'educazione dei figli "alla solidarietà e
all'impegno sociale" e di "trovare strade adatte per costruire reti
solidali, cioé associazioni, che diano peso politico alla famiglia per una
società che riconosca la famiglia come soggetto sociale".
«Siamo molto felici dell'esito di questo incontro in primo luogo per la bella collaborazione che si è instaurata tra due uffici della Conferenza Episcopale, che auspichiamo sempre più anche a livello diocesano», ha dichiarato monsignor Angelo Casile, Direttore dell'Ufficio della Pastorale Sociale della Cei. «L'intuizione del nostro incontro viene dall'icona biblica della santa Casa di Nazareth, dove famiglia e lavoro cadenzavano con singolare armonia le giornate dei suoi abitanti. La contiguità tra "bottega e casa" nella famiglia di Gesù permetteva la naturale accoglienza di tutti quei valori che ci permettono di vivere appieno la nostra vita professionale e quella familiare in vista del bene comune: valori come la preghiera, il riconoscersi reciprocamente come fratelli, il silenzio, il riconoscere l'opera creatrice di Dio, la dedizione e la cura nei confronti dell'altro rendono, se inseriti nella città dell'uomo, la vita più bella perchè il bene di uno corrisponde al bene di tutti».
«Sono stati giornate intense, forse anche faticose, ma abbiamo goduto della bellezza di condividere approcci diversi per costruire insieme un progetto comune», conferma don Paolo Gentili, Direttore dell'Ufficio Famiglia della Cei, che prosegue: «Il cardinal Bagnasco nell'ultima prolusione all'Assemblea dei vescovi ha parlato esplicitamente di famiglia e lavoro, un motivo in più per noi per entrare con ancora più carica in queste tematiche che coinvolgono tutti. E non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello diocesano: il vero lavoro comincia adesso».
Il lavoro durante i 4 giorni è stato intenso: relazioni, meditazioni oranti sulla Parola, laboratori secondo gli argomenti del Convegno di Verona. Prosegue don Gentili: «Per ogni ambito approfondito a Verona, l'affettività, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione e
l'innovazione, la cittadinanza, abbiamo scelto un versetto biblico e un aspetto concreto della vita delle famiglie per approfondire come le famiglie oggi possono vivere nella società, essendone una sua risorsa, e permettere quell'ascolto tra le diverse generazioni che favoriscono una vita buona ben oltre i confini familiari per estendersi a tutta la società. Occorre aprire nuovi orizzonti per la famiglia perché una società è impensabile senza famiglie stabili».
Famiglie, dunque, ma con sempre maggiore consapevolezza della propria identità. Per questo il convegno ha offerto un approfondimento teologico della famiglia ma non ha dimenticato la vita di ogni giorno, presa per sempre più famiglie nella morsa della crisi: per questo anche da questo pulpito è partita la richiesta esplicita ai politici di non dimenticare la famiglia.
Il professor Francesco Belletti, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari e direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf) nella sua relazione intitolata "Un cittadino di nome famiglia...le politiche familiari" ha messo in sinossi la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948 con la situazione attuale, facendo rilevare che «già nel 1948 la famiglia veniva indicata come uno degli ambiti di vita qualificanti l'integrità, l'inviolabilità e la dignità di ogni essere umano, in particolare all'art. 12 la famiglia era inserita all'interno di quella sfera di intimità che è essenziale per proteggere il cuore della libertà e della dignità di ogni persona», domandandosi però al contempo «quanto di questo valore è ancora difeso dal contesto sociale, in una società frammentata ma ipercontrollata, con sistemi di comunicazione che sono pervasivi e quotidiani» e quanto «la sovraesposizione della vita privata che viene messa in scena in tante trasmissioni anche di grande ascolto sia coerente con quanto solennemente affermato da tale articolo».
La Dichiarazione del 1948 contempla una serie di principi oggi messi in discussione: «La postmodernità ha messo in discussione la radicale diversità del
genere umano in uomini e donne, che la Dichiarazione riconosceva senza
argomentazioni e assumeva con piena ragione come "naturale", un po’ come la nostra Costituzione all'art. 29; ma anche gli "uguali diritti": permane, in molte nazioni e in molte culture, una inaccettabile disparità di trattamento e di diritti tra uomini e donne».
E che dire poi della famiglia come "nucleo naturale e fondamentale con il diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato"? «Quanto è oggi ancora condivisa questa affermazione», si è chiesto Belletti, «e quanto i sistemi pubblici si sforzano di attuare la seconda parte della citazione?», concludendo che «a leggere la situazione del nostro Paese, ne siamo ben lontani!».
La relazione si è poi soffermata sulla Carta dei Diritti della Famiglia, promulgata dalla Santa Sede il 22 ottobre 1983, che approfondiva e dettagliava quanto la Dichiarazione non aveva potuto esplicitare. «Leggere oggi queste indicazioni», ha detto Belletti, «sorprende ancora per la loro attualità e per la loro "laicità", dall'art. 12 sui "movimenti migratori" e il ricongiungimento familiare, articolo che sfida e giudica l'intera politica degli ultimi 25 anni del nostro Paese, all'art. 4, sull'accoglienza alla vita, che drammaticamente oggi è valore ben poco condiviso, all'art. 3, con quella indicazione conclusiva sulla "non discriminazione delle famiglie numerose" che sembrerebbe anacronistica, ma che contestualizzata nello scenario politico, sociale, culturale e fiscale del nostro Paese ci fa dire che invece è proprio vero che essere famiglie numerose nel nostro Paese è una indubbia situazione di svantaggio».
Belletti si è poi soffermato sull'identità sociologica della famiglia facendola ritrovare, ancor oggi in piena temperie culturale certamente non "family-friendly", in quattro elementi costitutivi: 1) luogo di incontro e mediazione tra sessi, generazioni e stirpi; 2) ambito primario di educazione personale e sociale; 3) luogo dell'appartenenza, reciprocità, responsabilità reciproca, cura e 4) luogo di rilevanza sociale, cioé produttore di capitale umano e sociale, valore aggiunto per la persona e la società.
«
La famiglia quindi», ha incalzato il Presidente del Foum, «
è necessariamente un sistema aperto, non può giocarsi soltanto sulle proprie dinamiche interne. L'esperienza familiare è inevitabilmente incrociata con quel che succede all'esterno, nel bene e nel male, come sfide e come opportunità, come condizionamenti ma anche come potenzialità. Essa dunque dà e riceve nello stesso tempo». Come esempio di questa necessaria osmosi tra il "dentro" e il "fuori" della famiglia, Belletti ha citato la differenza tra famiglie che vivono in un paese nel quale le politiche fiscali non tengono conto dei carichi familiari e quelle ove vige invece un sistema fiscale a misura di famiglia: vivrà decisamente peggio la prima.
Se «
il nemico primo dell'esperienza familiare oggi è allora l'isolamento, l'autoreferenzialità e il corporativismo, qual è il compito della famiglia?», si è chiesto il docente. «
Potremmo sinteticamente definirlo come la promozione dell'umano, la tutela della dignità della persona, la rigenerazione dell'umano». Sarà necessario in definitiva che le famiglie acquistino «
una chiara consapevolezza del proprio ruolo sociale, della propria responsabilità pubblica, della propria soggettività autonoma di fronte all'agire degli altri sottosistemi politici, amministrativi, economici».
Il matrimonio è un "sacramento sociale" ha detto nella sua relazione monsignor Giuseppe Anfossi, vescovo di Aosta ed ex presidente della Commissione Episcopale per la Famiglia. Secondo il prelato «ogni
dimensione del matrimonio va ad innestarsi nella vita sociale e diventa fattore
esso stesso di civiltà». Pertanto, ha ribadito mons. Anfossi, «occorre ribadire il fatto che socialmente la famiglia non può essere considerato irrilevante».
Sergio
Belardinelli, sociologo all'Università di Bologna, nella sua relazione non è stato troppo pessimista: qualche segnale di cambiamento secondo lui infatti si coglie a partire da un sano senso di tradizione, che non incontra più un'opposizione a priori del passato che indicherebbero «un primo mutamento di tendenza», secondo lo studioso.
Tonino Cantelmi
, noto psichiatra e scrittore, nella sua relazione dal titolo "Nativi digitali: le nuove sfide educative per la famiglia", ha parlato del web e del «suo impietoso fascino sulla mente umana tale da non lasciar scampo». Secondo Cantelmi «la rete delle reti è ora demonizzata e assimilata a un invicibile mostro divorante, ora invece esaltata e beatificata per le sue immense potenzialità», ma «rappresenta comunque la vera, straordinaria novità del 3° millennio perché presto gran parte dell'umanità sarà in Rete, evento che cambierà radicalmente l'uomo facendogli fare, forse, un decisivo "passaggio evolutivo" in quanto internet sulla sua mente produrrà cambiamenti che non potremo ignorare». «Internet», secondo lui, «è solo uno dei tanti cambiamenti indotti dalla rivoluzione digitale, la quale invece un "ambiente" da abitare, quasi una "estensione della mente umana", un mondo che si intreccia con il mondo reale e che determina vere e proprie ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali dell'esperienza, capace di rideterminare la costruzione dell'identità e delle relazioni». Le risutanze a livello antropologico sarebbero un «narcisismo sostenuto dalla civiltà dell'immagine, il dominio delle emozioni,
la progressiva perdita dell'identità personale che rende difficile
l'assunzione di responsabilità definitive». L'unica soluzione per fuggire a un inevitabile riduzionismo umano per Cantelmi è allora quella di puntare decisamente sull'educazione.