Per il suo lavoro a favore della pace e del dialogo numerose università lo hanno insignito con la laurea honoris causa. Times nel 2003 lo ha inserito tra i trentasei “eroi moderni” d’Europa, che si sono distinti per il proprio coraggio professionale e impegno umanitario. Lo storico Andrea Riccardi, 71 anni, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è anche un appassionato della Parola di Dio, entusiasta della Giornata che si celebra il prossimo 24 gennaio. Nel volume La preghiera, la Parola, il volto (Edizioni San Paolo), scrive: «C’è un momento, nella giornata, in cui non c’è niente di più urgente e decisivo che ascoltare la Parola del Signore. La lettura della Parola di Dio rende tale il discepolo».
Lei scrive che «bisogna essere grati a papa Francesco che ha portato avanti la recezione del Concilio con la Domenica della Parola di Dio». Perché è importante questa celebrazione?
«Con la Lettera apostolica Aperuit illis, papa Francesco ha istituito la Domenica della Parola di Dio, ricordando come “la Bibbia non può essere patrimonio solo di alcuni, ma è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità”. È stato per me motivo di gioia, perché da tempo sostenevo il bisogno di celebrare il dono della Parola con una festa dedicata, un po’ come si fa da secoli con l’eucarestia nella festa del Corpus Domini. Per troppo tempo la preghiera cristiana si è impoverita perché non si è nutrita della Bibbia, che spesso rischia di essere ridotta a un insegnamento religioso o a un’esortazione morale».
Perché ha sentito l’esigenza di scrivere questo tipo di testo?
«Sono convinto che questo mondo ha bisogno di preghiera e non sa come pregare. Tante volte la gente è sola nella propria ricerca, ma si lascia volentieri accompagnare. Lo dimostra il numero, in crescita, di persone che si uniscono alla preghiera della sera di Sant’Egidio, che viene trasmessa ogni giorno sul sito santegidio.org. Mi ha colpito, durante una mia visita a un istituto per anziani, una donna gravemente malata che mi disse: “Io non so pregare. So solo tre preghiere… ma ho bisogno di pregare e di essere aiutata da Dio”. È la stessa richiesta dei discepoli a Gesù : “Signore, insegnaci a pregare!”».
Nell’introduzione scrive che «si finisce talvolta per sfuggire al mondo della preghiera, quasi per evitare una situazione imbarazzante, in cui donne e uomini adulti si scoprono un po’ infantili». Qual è la sua esperienza di preghiera?
«Nel Salterio, che è il libro della preghiera collocato nel cuore della Bibbia, viene espressa tutta la gamma dei sentimenti e delle domande degli uomini e delle donne. C’è una preghiera che nasce dal bisogno, a volte in situazioni disperate, ma c’è anche il ringraziamento e la lode. La preghiera è imbarazzante per l’adulto, per chi crede di sapere tutto e di non aver bisogno di nulla. Perché nella preghiera anche quelli che sono sapienti o esperti si ritrovano come bambini che si rivolgono al Padre. Questa diffcoltà mette in luce un profondo bisogno della donna e dell’uomo spaesato. Solo quando si fa la scelta difficile di fare silenzio interiormente per pregare si riceve un grande dono: quello di ritrovare un padre che ha la forza per venirci in aiuto. Quando, anche se in modo confuso, si misura la propria povertà e piccolezza, si scopre Dio».
«La frequentazione della Bibbia aiuta a comprendere meglio il silenzio di Dio». È forse anche una chiave anche per affrontare questo tempo difficile?
«In un mondo dominato da una comunicazione incalzante, siamo portati a piegare tutto al nostro codice, che esige risposte immediate. Spesso nella preghiera sperimentiamo quello che sembra “il silenzio di Dio”. Questo silenzio sembra allontanare e fare paura. In realtà, forse, è l’espressione di un altro modo di parlare. Ambrogio di Milano insegna: “Parliamo con Dio quando preghiamo; lo ascoltiamo quando leggiamo la sua parola”. Sono convinto che la dimensione della preghiera sia diversa dal linguaggio rapido che utilizziamo ogni giorno».
Lei come sta vivendo questo tempo dominato dal Covid-19?
«La pandemia, che ha portato tanto dolore e morte, forse è stata occasione per un atteggiamento più saggio sulla vita. Si inizia a capire che l’autosufficienza è un’illusione e ci si è scoperti tutti più fragili e interdipendenti. E guardando anche agli anziani, prime vittime del Covid-19, scopriamo che i limiti e la fragilità non sono nemici ma fanno parte della vita, mentre il vero nemico è la solitudine. C’è sempre bisogno degli altri. Come ha detto con chiarezza papa Francesco, “ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”».
La frequentazione della Bibbia quanto conta nell’esperienza di Sant’Egidio?
«Papa Francesco, in una delle sue prodigiose sintesi ha definito Sant’Egidio con tre “p”: preghiera, poveri, pace. La preghiera è il cuore della vita di Sant’Egidio, la sua prima “opera”. E ognuno è invitato a leggere la Bibbia e a pregare ogni giorno. La stessa preghiera comune ha al centro la lettura della Scrittura e la predicazione. Ma si prega sotto lo sguardo di Gesù, raffigurato nell’antica icona del Santo Volto che idealmente presiede la preghiera della Comunità».
In che modo la Bibbia oggi può aiutare il dialogo?
«Nel nostro mondo, si può dire, c’è un “eccesso di luce”. Tutte le vicende sembra possano essere conosciute, attraverso Internet si crede di sapere tutto. La preghiera orienta il cuore, lo “decentra” e lo spinge ad accogliere sentimenti nuovi che vengono da Dio. La preghiera fa rinascere il cuore. Negli Atti degli Apostoli si legge che, dopo che l’apostolo Pietro parlò il giorno di Pentecoste a Gerusalemme, alcuni si sentirono trafiggere il cuore. Cosa vuol dire? Si accorsero che avevano un cuore e iniziarono ad ascoltare».
Ci sono autori, commentatori della Parola che sente particolarmente vicini?
«Anzitutto i Padri della Chiesa, come Giovanni Crisostomo, secondo cui “non conoscere le Scritture è un tradimento della nostra salvezza”, e Gregorio Magno che insegnava: “La Parola di Dio cresce con chi la legge”. Ma penso anche a un maestro spirituale del nostro tempo, come il cardinale Carlo Maria Martini, che sulla sua tomba nel Duomo di Milano ha voluto che si scrivessero le parole del salmo 118: “Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino”. L’ho conosciuto negli anni Settanta, quando era rettore dell’Istituto biblico, e ha accompagnato il cammino di Sant’Egidio, perché, dopo il Concilio, era alla ricerca di luoghi in cui preghiera e vicinanza ai poveri fossero uniti in una sequela autentica del Vangelo».