Abbiamo sentito e letto tutti della nave della Marina militare Vulcano, appoggiata alle coste di Gaza per accogliere, curare i feriti e per portare 60 bambini ngli ospedali italiani. Una goccia nel mare del dolore e della morte. Ci si chiede a volte a che serva, l’impotenza è in agguato. Ma su quella nave c’erano medici, infermieri volontari, immuni dal burnout, capaci di star di fronte a quel che accade, di rispondere alla chiamata del qui ed ora, di guardare non l’umanità sofferente, ma quella donna, quel bambino, quella ferita. Capaci di sostenere l’evidenza del male e ricambiarlo col bene, che è l’unica risposta possibile, l’unica alternativa alla disperazione o al cinismo.
Capaci di non porsi il problema “da che parte stare”, perché c’è una parte sola, quella di chi soffre. Su quella nave c’era, tra i chirurghi d’urgenza, anche Alberto, che da Varese è andato ovunque, in Bosnia, Kazakistan, Haiti e Iraq, dove c’era bisogno. «Perché la vita sia utile», è la sua spiegazione. È stato dieci anni in Uganda con la moglie, e lì sono nati tre figli; ha operato – coi kalashnikov puntati alla schiena – il figlio di un capo della guerriglia; o alla luce dei fari di una camionetta, perché si era spento il generatore che dava luce alla camera operatoria.
Abituato (ma mai rassegnato) a cucire, amputare, guarire, ridare coraggio dove parrebbe impossibile. Alberto non cerca il senso di tutto l’orrore con ragionamenti, sa che il suo posto è dove la realtà lo mette e le condizioni dell’essere non sono mai obiezioni, ma un’occasione per essere felici. Per essere di Cristo. Scandaloso. Elena ha trent’anni, bella, biondissima, ama i vestiti alla moda, i trucchi e i selfie sui social. Professione attrice di teatro, ma qualcosa non torna, avverte una mancanza anche con tanti amici intorno, anche col fidanzato.
Cerca risposte e bellezza in un monastero, roccaforte antica nel cuore di una città frenetica, rumorosa eppure sempre più sorda. Una fuga, parrebbe. Inutile e anacronistica, una perdita, per sé e per gli altri. Ma conosce donne intelligenti, brillanti, aperte al mondo e pronte ad accogliere le tante domande, le confidenze, le paure, gli sbandamenti di molti che chiedono una casa e un po’ di conforto. In tanti accorrono a pregare, ad ascoltarle cantare con melodie che sono balsamo al cuore più stanco. Sono evidentemente liete, nonostante i molti nonostante.
Che riguardano la perdita di tutto ciò che ci sembra vitale, spazio, movimento, possibilità, amore. La negazione di un’idea di libertà che è sempre e soltanto rincorsa, somma di desideri mai esauditi. Questa giovane donna è entrata in clausura pochi giorni fa, per essere felice. Per essere di Cristo. Scandaloso. L’eroismo è nel quotidiano, e i suoi effetti speciali dobbiamo imparare a scorgerli.
Siamo in Quaresima, che per tanti non ha significato e per altri è ancora tempo di mortificazione e tristezza. Ma non è affatto un tempo triste, se gli eroi, per i credenti e i non credenti, sono una provocazione alla mente e al cuore. Suscitano la buona invidia della stessa, scandalosa felicità.