Londra - Sicuramente avrà pregato, durante le ultime ore prima di morire, come ha fatto, ogni giorno, per oltre ottant’anni, e avrà sentito quel Gesù, al quale si è sempre ispirata, vicinissimo. Perché, se il primo filo conduttore della vita della regina Elisabetta II è stato un umile servizio al suo paese, dietro l’intreccio c’è stata la mano del Creatore che l’ha sostenuta, alla morte dell’amatissimo marito e del padre, della mamma e della sorella. Nella durata di un matrimonio con un uomo dal carattere non facile. Lungo i tre tormentati divorzi dei figli e attraverso la morte della nuora Diana quando, abbandonata per la prima volta dai sudditi, Elisabetta visse il momento più critico del suo lungo regno. Quando ha parlato, nel suo ultimo messaggio natalizio del 2021, «degli insegnamenti di Cristo che sono serviti come la mia luce interna, come lo scopo per la vita» in fondo ha raccontato la sua storia segnata fin dalla nascita dal destino di Regina. Un ruolo che si è inserito bene sul suo carattere timido e dedito al dovere, anche se i sacrifici richiesti avrebbero potuto essere superiori alle sue forze.
Si sa che gli anni più felici furono quelli da moglie di ufficiale di marina stazionato a Malta. Poi la vita cambiò per sempre , il 2 giugno del 1953, quando, lontana dalle telecamere, vestita soltanto di bianco, senza gioielli, proprio come una sposa, Elisabetta venne consacrata con l’olio santo dall’arcivescovo di Canterbury al servizio di Dio e della nazione. Essere regina divenne la sua missione e vocazione e cominciarono i viaggi lontano dai figli piccolissimi. Quando fece il primo giro del Commonwealth non vide Carlo e Anna, appena 5 e 3 anni, per quasi sei mesi. Né il ruolo di principe consorte si adattava bene alla forte personalità del marito Filippo, un maschio vecchio stile con il quale cominciarono, proprio dopo l’incoronazione, le prime tensioni. Prima la coppia, con lei moglie devota e sottomessa e lui marito tradizionale impegnato in Marina, funzionava benissimo.
Eppure Elisabetta ce l’ha fatta a compiere quella missione alla quale era destinata fin da prima della nascita, preservare la monarchia e mantenere unito il suo regno ed è sempre stata, secondo il suo biografo Ben Pimlott, «nel posto giusto al momento giusto» in ogni attimo della sua vita. Quasi quella Provvidenza, alla quale si è sempre affidata, abbia saputo intrecciare la sua personalità e la sua famiglia con un destino costituzionale impegnativo e faticoso.
Oggi il Paese si è fermato, come non faceva dai tempi di Churchill, perché pochissimi sudditi potevano ricordare un pezzo di vita senza quella figura matriarcale punto di riferimento. Elisabetta è stata la sovrana più longeva e quella che ha accompagnato con i suoi discorsi natalizi, le sue strette di mano, il suo profilo su francobolli e monete e il suo stemma su tutto quello che è ufficiale, da cassette postali a documenti di governo, milioni di sudditi, bambini, adolescenti e adulti. Nessun suddito ricorda un momento della sua vita nel quale lei, figura rassicurante e punto fisso, non sia stata presente.
Ha chiuso la Borsa e il giorno del funerale, tra due settimane, diventerà festa nazionale. I libri di condoglianze sono riapparsi fuori dai palazzi reali di Londra e in tutto il paese, proprio come alla morte della principessa Diana.
Per un attimo è tornata in vita, con le bandiere a mezz’asta in tutte e cinquantadue le nazioni del “Commonwealth”, dal Canada all’Australia, dalla Nigeria a Singapore, il vecchio impero e il più importante del mondo, fondato dalla sua antenata omonima Elisabetta I, un’altra icona della storia nazionale.
A continuare a sventolare, in cima all’asta di Buckingham Palace, è lo stemma reale perché c’è sempre un monarca sul trono e Carlo è diventato re nel momento stesso in cui la Regina ha smesso di respirare.
È stato proprio il marito, il principe Filippo, a definirla la psicoterapeuta del “Commonwealth” perché presidenti e primi ministri delle ex colonie, si trattasse di Papua Nuova Guinea o Nuova Zelanda, Giamaica o Zambia, hanno sempre fatto la coda per raccontarle i loro guai.
E anche i premier britannici, tutti e quattordici quelli che hanno punteggiato la sua vita, che l’hanno conosciuta in quel famoso incontro settimanale che è sempre durato da pochi minuti a mezz’ora, secondo la simpatia che corre tra la sovrana e il premier di turno, si sono sempre confidati con lei.
Regina psicoanalista e psicoterapeuta. Regina equilibrata e saggia. Regina punto di riferimento dei sudditi.
Churchill, il suo primo premier, la consigliò come una figlia, spaventata dall’impresa di regnare e pianse per lei consapevole che finiva per sempre il periodo più felice della sua vita e cominciava il dovere. Tony Blair seppe guidarla attraversò il grave naufragio della morte della principessa Diana. Con Harold Wilson, benchè fosse laburista, ci fu grande intesa e la regina cucinò, persino, per lui e sua moglie. Poca simpatia aveva per Margaret Thatcher benchè fosse conservatrice.
Sì la Regina, si dice, ha sempre votato “Tory” ma quei Tory vecchio stile, attaccati al passato dell’Impero e preoccupati dei poveri. Mentre la “iron lady” aveva tutta l’aggressività di chi aveva saputo completare la sua arrampicata sociale e non ne voleva sapere di gettare la fune a chi era rimasto indietro. Non certo lo stile di Elisabetta della quale chiunque l’abbia incontrata racconta la gentilezza e le attenzioni.
È riuscita a battere tutti i record della storia britannica. La più longeva. Quella più a lungo regnante. Quella sposata da più tempo.
Non ha mai mollato benchè il marito stesso glielo avesse consigliato. Un po’ per senso del dovere un po’ perché consapevole che un re anziano come Carlo mal si sarebbe adattato a un paese tra i più giovani anagraficamente del mondo occidentale.
Elisabetta regina ha saputo invecchiare, adattarsi, accettare di essere più povera insieme al suo paese. Sotto il suo regno – il più lungo in assoluto , 75 anni– la Gran Bretagna ha perso l’Impero e le colonie se ne sono andate una dopo l’altra oppure sono entrate a far parte dell’organizzazione del Commonwealth. L’impero britannico negli anni ’50, quando la Regina venne incoronata, esisteva ancora e lo sfarzo della cerimonia testimonia la sua ricchezza. Tra il 1945 e il 1965 i sudditi di Elisabetta imperatrice sono passati da 700 milioni a 5 e quell’epoca d’oro, quando il potere britannico controllava un quarto del globo, è diventata d’argento e poi di bronzo.
La Regina ha abbozzato con dignità, cominciando a pagare le tasse sul suo reddito, dopo che il castello di Windsor è bruciato ed è stata accusata di non averlo curato adeguatamente, perché proprietà del paese e della storia. Ha anche aperto le porte di Buckingham palace ai turisti per raccogliere fondi. Piangeva quando i sudditi hanno mandato in pensione il “Royal Yacht Britannia”, che aveva usato per 44 anni per fare vacanza e funzioni di stato, perché finiva, insieme alla ricchezza, anche la sua influenza.
Regina punto di riferimento, regina della speranza di un ritorno dell’era elisabettiana, regina del declino. Si dice che fosse contro la Brexit che ha impoverito il paese.
I suoi bellissimi capelli, mai tinti, prima castani, poi un po’ più bianchi, infine bianchissimi, hanno raccontato una lunga storia di sopravvivenza fatta di duro lavoro, senso del dovere e fedeltà alla propria vocazione. E anche alla routine noiosissima di tutti i giorni.
Il mondo l’ha sempre vista ricca e felice ma Elisabetta, da bravissima politica, ha saputo sopravvivere a un forte movimento repubblicano che avrebbe potuto pensionarla in qualunque momento. La sovrana è sempre stata una lavoratrice indefessa, almeno 50 ore alla settimana a stringere mani, tagliare nastri, ospitare feste, leggendosi tutti i documenti che le mandavano i primi ministri tranne che a Natale e a Pasqua. Molto influente non è mai arrivata in ritardo e non ha mai disturbato i suoi dipendenti fuori dall’orario di lavoro. Nessuno ricorda di lei uno scatto di nervosismo o un momento di cattivo umore.
La sua vita e la sua morte sono state il compimento di quella vocazione cristiana alla quale era stata chiamata al Battesimo. Proprio come in quel poema che Elisabetta, appena tredicenne, consegnò al padre re Giorgio V perché lo leggesse a una nazione che, stremata dalla Prima guerra mondiale, si preparava ad affrontare la Seconda.
«Ho chiesto all’uomo che stava sulla soglia del nuovo anno: “Dammi una luce che mi faccia camminare al sicuro in un territorio sconosciuto”. E mi rispose: “Esci nel buio e metti la tua mano in quella di Dio. Sarà meglio per te della stessa luce e più sicura di una via conosciuta».