Cari amici lettori, le violenze contro i cristiani, come testimoniano i fatti accaduti in Pakistan lo scorso 16 agosto (ve ne diamo conto nel servizio a pag. 20-23), sono una dolorosa e deplorabile realtà in alcune parti del mondo: là dove i cristiani (di qualsiasi confessione) sono minoranza religiosa, l’esposizione alla possibilità di violenze e persecuzioni è un dato di fatto che testimonia una fede “a caro prezzo”.
Secondo il Report annuale della Ong Open Doors del 2023, in giro per il mondo sono 360 milioni i cristiani che sperimentano sulla propria pelle un «livello alto di persecuzione e di discriminazione a causa della propria fede». Nella lista dei Paesi più “pericolosi” per i cristiani, la Corea del Nord, la Somalia, Yemen, Eritrea, Libia, Nigeria, Pakistan, Iran, Afghanistan e Sudan.
Un coro unanime di voci ha giustamente condannato le violenze contro i cristiani in Pakistan: dal fratello del ministro Shahbaz Bhatti, ucciso per la sua lotta politica per le minoranze religiose, al cardinale segretario di Stato vaticano Parolin, dal Primo ministro pakistano ai responsabili delle diverse Chiese cristiane colpite.
È importante anche per noi riflettere sui meccanismi che stanno alla base dell’intolleranza religiosa che possono portare alla violenza: il pregiudizio (la paura, il sospetto) verso una tradizione religiosa diversa, la non conoscenza e il non rispetto, la manipolazione della religione per altri fini (solitamente politici) sfruttando sentimenti popolari negativi e pregiudizi, a volte leggi inique (come quella sulla blasfemia in Pakistan).
Sono queste le realtà da curare per disinnescare l’odio: favorendo la conoscenza e le relazioni, coltivando il dialogo interreligioso ad alti livelli ma anche a livello di base, educando i ragazzi fin dai banchi di scuola e nelle rispettive comunità religiose.
Dalle nostre parti l’odio virulento e aggressivo è forse più raro, ma non mancano certo pregiudizi, paure, sospetti verso credenti di altre religioni. È un imperativo cristiano quello di non arrendersi di fronte al male ma di «vincere il male con il bene».
Non con una sopportazione forzata ma con percorsi attivi che aiutino a prevenire il male e a orientare verso il bene. Non basta limitarsi a evitare il male: occorre attivare e attivarsi per percorsi di bene, che sono quello del rispetto per il diverso dal punto di vista religioso, che passa per le vie del dialogo, dell’amicizia, della conoscenza.
«Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”» (Fratelli tutti, n. 198) La pace si coltiva nel quotidiano. Ce lo insegnano i tanti ragazzi provenienti da diversi Paesi e tradizioni religiose che crescono insieme sui banchi di scuola: dall’amicizia e dalla conoscenza personale può scaturire una convivenza pacifica e rispettosa.
Questo richiede un’apertura di orizzonti che è inscritta nella dinamica dell’amore cristiano: «L’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza» (n. 95).
Il Vangelo e la visione cristiana dell’uomo hanno qui molto da dirci. E papa Francesco ci insegna, con l’azione oltre che con la parola, come si coltiva il dialogo e l’amicizia con credenti di altre tradizioni religiose, rimanendo fedeli al Vangelo.