I momenti di silenzio e di preghiera, la riflessione e l’attenzione ai segni di speranza non possono andare in ferie. Tanto più se quei segni annunciano possibili svolte e cambiamenti, conquiste o riconquiste di civiltà. È quello che sta avvenendo all’interno delle mafie. Certo le difficoltà di contrastarle restano enormi: le cosche sono capaci di mutar pelle, di adattarsi e infiltrarsi, favorite in questo dal dilagare della corruzione, della “zona grigia” in cui è sempre più arduo distinguere tra crimine organizzato, crimine politico e crimine economico (la recente sentenza di “Mafia capitale” rivela anche il peso di questa difficoltà).
Tuttavia nel loro mondo chiuso e violento sta avvenendo un fatto nuovo e potenzialmente di-rompente: la rivolta delle donne, la presa di coscienza dei giovani. Abbiamo appena ricordato Rita Atria, che a 17 anni si tolse la vita dopo la morte di Paolo Borsellino, in cui aveva trovato un punto di riferimento forte, affidabile, paterno. La morte di Rita non è avvenuta invano. Sono tante, oggi, le donne nate o confluite in famiglie mafiose che si ribellano alla legge del clan, che cercano per sé e per i propri figli un futuro diverso e chiedono un aiuto per realizzarlo. E al contempo sono tanti i ragazzi provenienti da famiglie o contesti mafiosi – Libera li incontra da nove anni nell’ambito dei circuiti penali – che opportunamente stimolati maturano un cambiamento, la consapevolezza che essere mafiosi comporta, non solo in carcere, la perdita dei beni più alti: la libertà e la dignità.
Offrire una via d’uscita a queste persone non è solo giusto, ma lungimirante, perché mette in evidenza le crepe dell’universo mafioso, il fatto che qualcosa non funziona più nella trasmissione dei suoi pseudovalori. Per un mafioso la diserzione dal suo mondo – tanto più se non motivata da un vantaggio personale, come accade per i collaboratori di giustizia – è uno schiaffo, un atto di lesa maestà, uno sgarro alla sua statura di “uomo d’onore”.
È necessario però che la politica e la magistratura facciano la loro parte, trovando gli strumenti per accogliere, nel rispetto dei percorsi di giustizia, questa richiesta di libertà e di dignità. I beni più preziosi dell’essere umano, e quelli su cui, da sempre, si costruisce la speranza in un futuro di giustizia.