Sullo scenario della musica rap e trap si affacciano sempre nuovi artisti. E c’è chi per originalità della proposta musicale conquista una larga fetta di pubblico. Come Lazza (al secolo Jacopo Lazzarini), giovane artista milanese che con il suo Re Mida è schizzato al vertice della classica dei dischi più venduti. Una proposta la sua musicalmente di qualità, anche perché Lazza ha una particolarità che lo rende unico nel panorama dei rapper italiani: ha studiato per anni pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Un ragazzo vistoso nell’abbigliamento e nei numerosi tatuaggi, ma che conserva un animo semplice e anche umile, visto che conclude la nostra chiacchierata con una considerazione un po’ timorosa: «Spero di essere stato abbastanza educato!».
Raccontaci della tua passione per la musica, quando è iniziata?
«Quando ero piccolo mio nonno mi suonava la fisarmonica, ed è lui che mi ha comprato la prima tastiera dove ho iniziato a suonare da solo. Poi verso i 10 anni ho cominciato a prendere lezioni tre volte alla settimana: studiavo tanto e contemporaneamente facevo pianoforte anche alla mia scuola media che era a indirizzo musicale».
Chi ti ha spinto a iscriverti al Conservatorio?
«L’ho deciso io, preparandomi bene per sostenere gli esami di ammissione. Ho frequentato il Conservatorio fino ai 19 anni, ma non sono riuscito a finire gli esami e di questo me ne rammarico». Come ti trovavi in mezzo agli altri studenti? «Con i compagni del Conservatorio non riuscivo ad andare d’accordo, ero un po’ una pecora nera, anche per il modo di vestire. L’unico amico che ho conservato è il mio ex compagno di banco, che è diventato un pianista di musica leggera anche lui, Emanuele Fasano (figlio di Franco Fasano, che abbiamo intervistato sul n. 14 del 2017 di Famiglia Cristiana, ndr)».
Invece con la scuola come andava?
«A scuola era un disastro: ho iniziato facendo le superiori al Conservatorio, poi sono stato bocciato, ho cambiato scuola ma anche lì mi è andata male. In genere ero un ragazzo tranquillo, anche se non mi facevo certo mettere i piedi in testa e non ero ben visto dalle istituzioni scolastiche e la scuola non l’ho mai finita». Eppure le tue canzoni sono dense di citazioni e riferimenti culturali… «Sono una persona curiosa, mi piace tenermi informato, vedo tanti lm, libri invece pochi, mi piace leggere solo la musica».
Quando hai cominciato a fare rap?
«Molto presto, viaggiavo su due binari paralleli: da un lato il rap, dall’altro la musica classica. A 12 anni andavo ad assistere ai concerti di free style. Prima mi accompagnava mio padre, poi ho combattuto le mie classiche battaglie da adolescente per avere più libertà e tornare più tardi. Ma a parte questo ho un buon rapporto con i miei genitori, sono figlio unico e sono molto legato a loro, mia mamma è una mia fan».
E tuo nonno che cosa dice?
«Mio nonno purtroppo è venuto a mancare improvvisamente quando avevo 12 anni, è stato uno shock per me. Mi piacerebbe che vedesse dove sono arrivato, anche se non so se sarebbero più gli abbracci o i calci per tutti i tatuaggi che ho!».
Continui a suonare la musica classica?
«Io la musica classica non l’ho mai lasciata, continuo a suonarla e ho un’autentica venerazione per Chopin, tanto da essermi tatuato sul polpaccio il suo volto». Suoni il pianoforte anche nelle tue canzoni? «In questo ultimo album di pianoforte c’è ben poco, ma i giri importanti delle canzoni li ho scritti io, con un’attenzione particolare alla ricerca delle giuste sonorità. Non è rap e non è trap, è il mio disco, io non voglio essere come gli altri».
L’album Re Mida ha avuto un successo incredibile...
«Già, primo in classica la prima settimana che è uscito, poi secondo dopo Ligabue ed è un onore essere sorpassati da un artista così. Se devo pensare al motivo di questo successo, mi viene da dire che il segreto per arrivare primi è fare le cose con la testa e con il cuore».
Tu ascolti solo rap?
«Per nulla. Ascolto diversi generi di musica: mi piacciono Frank Sinatra, Elton John, Michael Jackson, Charles Aznavour, Nina Simone, Whitney Houston, Amy Winehouse».
Cosa ne pensi del fatto che la canzone di Achille Lauro cantata a Sanremo sia stata così criticata?
«In Italia si è sempre alla caccia di un colpevole. E mi dà fastidio che ci sia sempre il dito puntato su noi giovani. In particolare quella canzone non c’entrava nulla con la droga e poi se ci fosse stato anche un solo sospetto che fosse così non l’avrebbero certo fatta passare alla finale di Sanremo».
Tu sei consapevole di essere un modello per i ragazzi?
«So che è una bella responsabilità. Io cerco di mandare dei messaggi positivi ai miei fan, che sono tanti, anche perché da quando il rap non è più di nicchia si è allargato molto il pubblico. Spesso vedo ragazzi senza uno scopo, né interessi. Io dico che occorre mettersi in gioco, darsi un obiettivo e perseguirlo come ho fatto io con la musica».
Che significa il titolo dell’album Re Mida?
«Re Mida ha un’arma a doppio taglio: trasformare in oro tutto ciò che si tocca può anche portarti a morire di fame. Così io sono consapevole che tutto potrebbefinire, il successo è effimero, spuntano continuamente nuovi cantanti»