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mercoledì 12 febbraio 2025
 
 

Lina Sastri: la vita, un raggio di sole

11/05/2012  Intervista alla brava attrice e cantante sulla fede, gli affetti, la speranza, la sua Napoli, mentre Famiglia Cristiana propone il libro di Ermes Ronchi per la serie Buc.

Ninetta cantava con la sua voce melodiosa mentre sbrigava le faccende di casa. Mentre i suoi ricordi svanivano giorno dopo giorno, la voce che riempiva la casa fra i vicoli di Napoli la manteneva tenacemente legata alla vita. Ninetta era la madre di Lina Sastri, la grande cantante e attrice napoletana che, dopo la sua morte per Alzheimer, le ha dedicato un libro, poi diventato anche un monologo teatrale: La casa di Ninetta (Marsilio, libro + Dvd).

«Mia madre ha molto sofferto nel corso della sua vita fino a essere colpita da questa malattia terribile che umilia il corpo e la mente, eppure ho visto fino alla fine una luce nei suoi occhi: credo che abbia conservato dentro di sé il senso più profondo delle cose». Padre Ermes Ronchi, in Sulla soglia della vita, il volume della Biblioteca universale cristiana di Famiglia Cristiana ora disponibile, riflette proprio sul significato della parola “vita” così come emerge dalle Sacre Scritture. Un testo colmo di speranza, dove si dice che «Dio non ci tira fuori dalle tempeste, ma ci dà coraggio dentro le tempeste». Perché alla fine lo sbocco della vita, dopo tutte le sofferenze, è l’Eterno.

Le capita di parlare ancora con sua madre?
«Certo, quando ho bisogno di sentire ancora la sua mano sulla mia testa, mi rivolgo a lei. So che c’è e mi ascolta».

È stata lei la prima a parlarle di Dio?

«No, le suore che mi hanno educata all’asilo e alle elementari sono state molto più determinanti di lei nel trasmettermi un senso religioso della vita, tanto che per un certo periodo ho pensato di prendere i voti, perché sentivo dentro di me una sete di Assoluto che alla fine ho sublimato nell’arte».

Ma ha mantenuto questo senso religioso della vita?

«Sì. Dopo la morte di mia madre, per un certo periodo mi sono anche riavvicinata ai sacramenti, perché sentivo il bisogno di ritrovarmi a pregare in una comunità. Poi mi sono allontanata di nuovo dalla pratica religiosa, ma non dalla fede: ormai fa parte di me».

Quindici anni fa in un’intervista dichiarava: «Sembra che oggi tutto sia pervaso da una generale mancanza di speranza e di fede ». Lo pensa ancora?
«Oggi più che mai siamo immersi in una sorta di Medioevo dell’anima. I giovani sono cresciuti con l’idea che l’utile sia più importante dalla fantasia. Ma forse la misura è colma. Sono convinta che prima o poi ci ritroveremo. Non potremo andare avanti ancora a lungo così».

Qual è la prima cosa che le viene in mente quanto sente la parola vita?
«Non ho avuto la fortuna di avere dei figli e in questo momento non ho nemmeno un uomo accanto a me, ma forse proprio per questo sono convinta che vita sia amore, condivisione, godere insieme di piccole cose come un raggio di sole improvviso o un piatto che qualcuno ha preparato per te».

Padre Ronchi paragona l’uomo a un albero capovolto che ha radici verso l’alto. Condivide questa immagine?

«Sì, indipendentemente dal fatto di credere o no, dentro di noi c’è una sete di spiritualità che ci accompagna sempre e ci guida nelle scelte che compiamo, anche inconsapevolmente».

C’è una cosa che, ogni volta che la vede o la sente, la lascia senza fiato?

«Nel mio ultimo spettacolo, Per la strada, racconto ancora una volta la mia città. Le strade di Napoli sono animatissime: nell’aria si respira l’odore del mare e delle sfogliatelle, c’è la musica in sottofondo, c’è sempre un sacco di gente che non si sa dove sia diretta. La strada a Napoli non è mai soltanto un luogo in cui si cammina, ma è un mondo intero. E spesso per strada mi capita di incontrare bambini che ricambiano un mio sorriso o accolgono una mia carezza, senza avermi mai vista prima. Questa naturale bontà che abbiamo dentro di noi: ecco cosa mi lascia senza fiato».

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